Il G7 dei nani e delle guerre infinite
Lo stanco rito del G7 di scena in Puglia ha prodotto il prolungamento ad libitum della mattanza del popolo ucraino, per la cui prosecuzione saranno investiti 50 miliardi annui per i prossimi dieci anni, nella forma di prestiti garantiti dal lucro dei beni russi congelati dalle banche occidentali all’inizio delle ostilità.
Non una decisione collettiva, nata dal consenso di leader di libere nazioni, ma una banale adesione delle colonie ai diktat dell’Impero, dal momento che i Paesi europei avevano a lungo nicchiato sul tema a causa dei rischi connessi (paventati, peraltro, dalle banche, vedi Reuters).
Un diktat condensato nell’articolo del Segretario del Tesoro Usa Janet Yellen pubblicato sul New York Times alla vigilia del summit con il titolo: “Un nuovo modo per far sì che le risorse della Russia paghino la difesa e la ricostruzione dell’Ucraina”. I leader convenuti al G7 dovevano solo ratificare e l’hanno fatto con l’entusiasmo dei servi ossequiosi.
Resta da capire come gli assets russi possano offrire agli Stati che devono aprire i cordoni della borsa garanzie per 50 miliardi di dollari l’anno, dal momento che nel 2023 gli assets congelati nell’Unione europea hanno fruttato solo 4.4 miliardi di euro, come si leggeva sul Financial Times, e che proprio la Ue detiene la quasi totalità di tali risorse, dal momento che nelle banche degli States sono bloccati solo 6 dei 300 miliardi di dollari sequestrati (Nbc news).
Prodigi della finanza creativa, che però a volte, come accaduto in passato, si pagano duramente ex post. Ma tanto, si sa, non pagano mai i creatori.
G7: il summit dei nani
Simpatico, sul summit pugliese, il quadretto tratteggiato dal Wall Street Journal, che annota come tutti i leader ivi convenuti rappresentano poco più che se stessi.
Il britannico Rishi Sunak, infatti, sta per perdere le elezioni ormai prossime; Scholz e Macron sono reduci dal tracollo delle elezioni della Ue, con il secondo costretto a indire elezioni anticipate a rischio; il canadese Trudeau è ormai “completamente impopolare”, come recita il WSJ che lo accomuna al premier giapponese Kishida, che gode di un “indice di gradimento del 16%” e potrebbe addirittura riuscire nella “difficile” impresa di far perdere le prossime elezioni al partito liberal democratico.
Un quadro al quale fa adeguata corona la narcotica senescenza dell’Imperatore e non certo rinvigorito dall’unica leader vittoriosa, la Giorgia nazionale, perché l’Italia conta nulla nella Ue e in ambito internazionale.
Il WSJ ricorda con certa nostalgia quando a tali vertici partecipavano leader di ben altro spessore, che sapevano come gira il mondo e sapevano quindi affrontarlo. Ora questo manipolo di “nani”, copyright WSJ, si trova ad affrontare antagonisti ben più ferrati come Putin e Xi Jinping, da cui i timori conseguenti.
Ma qui veniamo al vero nodo della questione, che il WSJ non affronta né può e/o vuole affrontare. A stare al resoconto, infatti, sembra che tale declino politico dilagante sia qualcosa di casuale.
Ognuna delle nazioni rappresentata al G7 a causa di dinamiche strettamente endogene ha prodotto leadership tragicamente deficitarie (l’eccezione Meloni è meramente elettorale, la sua vittoria resta ricompresa nel tragico deficit di insignificanza internazionale dell’Italia).
I nani delle guerre infinite
In realtà, non è la leadership attuale a soffrire di tale deficit. Infatti, essa è solo il prodotto del declino della politica che si è registrato in Occidente, dove il potere politico è stato aggredito ed eroso prima dalla Finanza, poi dalle Big Tech – basti pensare al ruolo di Bill Gates durante la pandemia – e poi dall’apparato militar-industriale Usa e dalle sue multiformi propaggini.
Centri di potere alternativi alla politica – nel senso che la controllano lasciando ad essa il mero spazio teatrale – e che ormai, soprattutto nel post 11 settembre, agiscono in combinato disposto, rimodellando le cosiddette democrazie occidentali, e quelle asiatiche che all’Occidente fanno riferimento, a loro piacimento.
È tale Potere, altro dalla Politica, a dettare le direttive essenziali all’Impero. E, anzitutto, il regime delle guerre infinite, che oltre a espandere su scala globale l’influenza di tali centri di potere, hanno lo scopo di incrementarne la loro influenza all’interno dell’Impero stesso.
Se nella prima fattispecie l’obiettivo non si è realizzato, come dimostra la rottura insanabile della globalizzazione e l’emergenza di Potenze e Stati non subordinati a tale Potere, le guerre infinite gli hanno però consegnato le chiavi dell’Impero, relegando la Politica a teatro e i politici a figuranti speciali (nel Cinema sono comparse che hanno facoltà di fare qualche battuta).
Certo, la dialettica interna tra il Potere reale e la Politica ha ancora qualche residuo di vivacità, con Trump in America soprattutto, ma ad oggi siamo nel momentum dei figuranti speciali, ai quali è richiesto di proseguire nel solco delle direttive obbligate.
Il paradosso del WSJ
Si noti come appaia del tutto contraddittorio, nella nota del WSJ, il lamento per il deficit politico del G7 e, allo stesso tempo, l’auspicio dell’avvento di leader più forti che sappiamo meglio contrastare Cina e Russia. Paradosso che fa il paio con la gioia di altri media mainstream perché nel summit si è fatto un ulteriore passo per contrastare la Russia e per fare della guerra ucraina una guerra infinita.
Leader più forti dovrebbero, al contrario, contrastare le spinte distruttive e autodistruttive proprie delle guerre infinite, che hanno devastato popoli e destini, e ridare forma a un ordine mondiale basato davvero sulle Regole, come avvenne a Yalta dove le Regole del nuovo ordine nacquero da una convergenza e da un ostracismo totale della follia nazista e non come imposizione da una sola Potenza che, peraltro, ha ormai relativizzato – per usare un eufemismo – il rigetto del nazismo.
Per una svista, peraltro, lo scenario di una convivenza tra potenze è evocato dallo stesso WSJ, quando tra i leader di cui si dice nostalgico nomina Ronald Reagan, che si accordò con Michail Gorbacev dando vita a una stagione di speranze, anche se di breve durata.
La spinta del Potere di cui sopra a ottenere un trionfo globale, infatti, ebbe la meglio sulla prospettiva di una convivenza tra potenze. Da cui l’89 e le rivoluzioni colorate nei Paesi ex sovietici, brodo di coltura e genesi delle successive guerre infinite, come palesa in maniera esemplare il caso ucraino, con la rivoluzione colorata di Maidan che ha aperto la via all’attuale guerra infinita.
E a proposito del senso del G7 per le guerre infinite, nell’ambito del summit il conflitto di Gaza, che ha preso la forma di guerra perpetua (nel solco della prima guerra infinita moderna, cioè il lungo conflitto israelo-palestinese) è trattato solo come esercizio retorico. Nessuna misura reale per fermare la mattanza in atto. A conferma di quanto esposto.