20 Luglio 2022

Il Giappone dopo l'assassinio di Abe

Il Giappone dopo l'assassinio di Abe
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Shinzo Abe

L’assassinio di Shinzo Abe è analizzato in un interessante articolo di The Diplomat, sito USA dedicato all’Asia, che spiega come l’ex premier, nonostante il suo ritiro da incarichi pubblici, rivestisse ancora un’importanza cruciale in Giappone, essendo, di fatto, il kingmaker della politica nipponica.

Il Giappone e il ruolo centrale di Abe

Nella nota di The Diplomat, Kosuke Takahashi spiega come Abe avesse ancora il controllo del suo partito, i liberaldemocratici, il più importante del Paese. E ciò grazie alla sua corrente (già, ci sono le correnti anche altrove…), che sommava il 40% dei membri del partito.

Un ruolo che lo aveva portato anche in rotta con il suo successore Fumio Kishida, che lui stesso aveva intronizzato al momento del suo ritiro da premier (causa malattia) e che era stato suo ministro degli Esteri. Dissidio che si era palesato in pubblico, cosa inusuale in Giappone, in questi giorni.

“Kishida – scrive Così Takahashi – aveva sostituito il vice ministro della Difesa  Kazuhisa Shimada con Atsuo Suzuki, già commissario dell’Agenzia per l’acquisizione, la tecnologia e la logistica del Ministero della Difesa. La nomina, in vigore dal 1° luglio, è stata decisa, sebbene il ministro della Difesa Nobu Kishi, fratello minore di Abe, avesse chiesto che Shimada fosse mantenuto al ministero prima della revisione, già pianificata, dei principali documenti sulla politica della difesa del Giappone, tra cui il National Strategic Security di fine anno”.

La querelle è stata risolta con Shimada che ha conservato il suo uomo, nominandolo consigliere del ministero, ma la mossa, dopo la morte del fratello, potrebbe perderlo. Come potrebbe perdersi la corrente di Abe, conclude Takahashi, rimasta, almeno per ora, priva di guida.

Querelle non da poco, quella riguardante la stesura del National Strategic Security, dal momento che, in base alle priorità che vi saranno descritte, si modellerà la struttura della Difesa del Paese e tanto altro connesso.

Sulla strana libertà goduta dal killer di Abe e sulle inspiegabili falle della Sicurezza abbiamo già scritto: inutile ripetersi. Resta la domanda più importante, cioè se il Giappone modificherà l’articolo 9 della Costituzione, che gli impedisce di tornare una potenza militare a tutto tondo.

Più o meno tutti i media d’Occidente hanno predetto che tale modifica è ormai destino manifesto dopo la morte di Abe, il quale aveva tentato invano di fare questo passo.

Il suo sogno, cioè, sarà realizzato da Kishida, grazie al fatto che nelle recenti elezioni le forze che lo sostengono, per effetto dell’assassinio, hanno conquistato i tre quarti del Parlamento, maggioranza necessaria alla modifica in questione.

Tale prospettiva è, però, messa in dubbio da

Ma potrebbero “forzargli la mano”, avverte Nakano, e così avviare una politica estera più muscolare, prospettiva che non promette nulla di buono per la pace globale, se si tiene conto che il Giappone è giocoforza ingaggiato nella disfida Usa – Cina.

Diversi i cenni interessanti nell’articolo di Nakano. Anzitutto che i giapponesi non vogliono tale modifica, come attestano tutti i sondaggi, anche i più recenti. Ma soprattutto che il sogno di Abe sulla modifica costituzionale è più una narrativa occidentale che la realtà.

Infatti, scrive Nakano, “persino Abe non ha mai seriamente spinto per un referendum a causa dei rischi politici connessi, nonostante abbia goduto di una maggioranza di due terzi per alcuni dei suoi anni al potere”. Insomma, l’idea che Kishida porti a compimento il sogno di Abe è solo una delle tante narrazioni dei costruttori di guerra.

Inoltre, afferma Nakano, “eliminare le salvaguardie dell’articolo 9 e militarizzare di nuovo il Giappone non farebbe che infiammare ulteriormente le tensioni con la Cina e rischierebbe una corsa agli armamenti, con conseguenze potenzialmente devastanti per il Giappone e la regione. Al contrario, un riaffermato impegno per la pace consentirebbe di concentrare le risorse interne sull’economia e aprirebbe la porta a migliori relazioni con i Paesi prossimi al Giappone, fondate sulla pace attraverso la diplomazia”.

Riportiamo, concludendo, due osservazioni di Nakano sul punto. Anzitutto che la corrente di Kishida “si è tradizionalmente impegnata con la Cina e ora [con l’indebolimento della destra del partito, ndr] potrebbe essere in una posizione migliore per perseguire una politica più incentrata sul dialogo con Pechino”.

Questa la seconda osservazione: “In un momento in cui gli Stati Uniti sono concentrati sul confronto con la Cina, un Giappone più umile e pacifista potrebbe svolgere un ruolo importante, impegnandosi nuovamente con Pechino per aiutare a ridurre le tensioni tra Cina e Stati Uniti”.

Resta quel cenno alla possibilità che qualcuno possa “forzare la mano” al nuovo premier. Sotto questo profilo, l’assassinio di Abe appare presagio nefasto. Peraltro, la destra del partito liberaldemocratico potrebbe, invece di sciogliersi, trovare una guida meno navigata e attenta di Abe, tale da spingere il partito in direzioni ancora ignote. Tante le incognite, tutte da seguire.

 

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