Il mesto addio del Governatore d'Italia
Tempo di lettura: 3 minutiDraghi se ne va, confermando la scarsa statura del personaggio, che ha pensato di governare l’Italia come fosse una banca di cui si immaginava amministratore unico, nulla importando la base sulla quale si fondano la politica e la democrazia, cioè il compromesso (chieda, sul punto, anche ai suoi amici americani).
D’altronde aveva alle spalle tanti poteri forti dell’Occidente, cui aveva consegnato il suo destino e soprattutto quello dell’Italia con le sue reiterate, quanto non richieste (neanche dai suoi padrini) dichiarazioni di fedeltà atlantica, con stretta ulteriore all’inizio della guerra ucraina, quando aveva dichiarato la propria adesione/conversione addirittura al Credo neoconservatore, con la citazione non casuale del funesto Robert Kagan.
Il delirio di onnipotenza proprio di tale ambito americano, che reputa di poter forgiare il mondo a propria immagine e somiglianza, deve purtroppo aver contagiato il Nostro, complici i tanti adulatori d’accatto trovati strada facendo. Così è salito al Colle, una prima volta, rassegnando le dimissioni perché disturbato dalla dialettica politica, cioè dalla democrazia.
Un delirio che lo ha portato, alcuni giorni dopo, a tenere un discorso alquanto stralunato al Senato, in cui ha chiesto alle forze che lo sostenevano di continuare a farlo senza disturbare il conducente. Forse arroganza o forse inadeguatezza: sta di fatto che tale delirio di onnipotenza lo ha perso.
Si è ripetuto lo schema che già gli aveva fatto sfuggire sotto il naso la poltrona presidenziale, quando la dialettica divergente-convergente di Forza Italia, Lega e Cinque Stelle resistenti aveva infranto il destino manifesto della sua ascesa al Colle.
Degno di nota anche lo svolazzo finale di Pierferdinando Casini, il quale, già carta di riserva del sistema nella corsa presidenziale, si è ripetuto ieri tentando di salvare in extremis il suo più augusto sodale, con l’esito di infierire sul poveretto.
En passant, segnaliamo uno dei passaggi più ironici del discorso al Senato del povero Draghi: quello in cui ha dichiarato di esser stato scelto dagli italiani, concetto che gli deve essere caro perché ribadito in altri termini al momento di rassegnare le dimissioni alla Camera.
Se davvero lo crede, potrebbe presentarsi alle elezioni, cosa che ovviamente si guarderà bene dal fare perché sa che raccoglierebbe percentuali da prefisso telefonico. Né le forze che lo hanno sostenuto come Uomo della provvidenza, unico e irrinunciabile, sembrano propense a chiedergli di guidarle al sicuro successo elettorale, ben consapevoli dell’eventuale esito.
Mesto destino quello del Governatore d’Italia, al quale si addice l’indulgenza del caso a motivo della sua scarsa sagacia, dimostrata ampiamente in questi mesi, dei quali non si ricorda un solo provvedimento incisivo per far fronte alla crisi che sta consumando imprese e classe media, limitandosi la sua gestione del potere ad aspettare i soldi dell’Europa, cosa che poteva fare chiunque.
Per sventare la crisi di governo, al solito, media e potenti ambiti internazionali (e qualche improvvido porporato) hanno paventato la fine del mondo. A oggi il mondo è rimasto al suo posto, a parte qualche ovvio scossone. Aspettiamo, forse arriverà domani o dopo.
Ma è possibile che la crisi nera che attanaglia la Ue a causa delle sanzioni anti-russe protegga il Bel Paese da tale minaccioso-minacciato destino, perché se l’Italia precipitasse nell’abisso – al quale comunque la destinava, con metodo e determinazione, la reggenza caduta in disgrazia – avrebbe conseguenze disastrose per tutti. Vedremo.
Concludiamo con una nota personale, spiegando il motivo del nostro silenzio sulla crisi. Il fatto è che erano tali e tante le pressioni interne e internazionali che era arduo immaginare quanto avvenuto.
E però, l’essere aperti all’imponderabile e la registrazione di alcuni cenni sporadici quanto ironici ci aveva indotto a osservare la prudenza del caso e ad attendere gli eventi. Alla speranza si addice il silenzio.