Il petrolio e la guerra mediorientale dell'ultimo decennio
Tempo di lettura: < 1 minuteIn un articolo del 5 ottobre dal titolo L’irrazionalità della guerra, Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini spiegano come le guerre moderne nascono da esigenze economiche, ma argomenta che, alla fine, il «il costo della guerra è quasi sempre superiore ai conflitti che l’hanno provocata», il quali avrebbero potuto risolversi attraverso altre vie. Da qui l’irrazionalità di certo bellicismo attivo.
Ma al di là delle considerazioni dei due autori dell’articolo, colpisce un passaggio dello stesso, che riportiamo: «Se ripercorriamo le vicende dell’ultimo secolo, ci accorgiamo che la seconda guerra mondiale rappresentò la strada per superare la grande depressione provocata dalla crisi del ’29, mentre, in tempi recenti, è convinzione diffusa che la guerra in Medio Oriente sia stata scatenata dagli Stati Uniti anche per uscire dalla crisi economica che si era manifestata in seguito allo scoppio della bolla tecnologica nell’anno 2000. Indubbiamente, la guerra mediorientale fu favorita dagli attentati dell’11 settembre 2001 che spianarono la strada verso un intervento militare dapprima in Afghanistan e poi in Iraq, la regione che dopo l’Arabia Saudita possiede le più ampie riserve petrolifere».
Abbiamo riportato il passaggio perché di indubbio interesse. Anche se descrive parte dello scenario che ha generato i recenti conflitti, dal momento che non considera la crescita economica della Cina, lo sviluppo dell’Unione Europea, il nodo irrisolto della vicenda isarelo-palestinese e altro e più oscuro.