Il piano Biden per Gaza sembra naufragato...
Biden sembra aver ammainato bandiera. Infatti, rispondendo a una domanda se ritenesse possibile una pace a breve a Gaza ha risposto con un secco “no”, aggiungendo, inutile orpello, di non aver perso la speranza.
L’ammissione arriva al G7 e per questo le sue parole sono ancora più significative, avendo parlato, di fatto, a nome dell’Occidente. La mattanza, quindi, può proseguire indisturbata, pur ricompresa nei richiami retorici alla pace e alla moderazione nei confronti dei civili.
Il fallimento del piano Biden
Ci aveva provato, il senescente imperatore. Il suo annuncio del piano di pace non era una finzione, come interpretano tanti analisti che non tengono conto delle articolazioni del potere imperiale, reputando davvero che il presidente degli Stati Uniti sia un monarca assoluto.
Non è così, il vero potere risiede altrove e spesso va per la sua strada, come ben sa Netanyahu che con i veri centri del potere imperiale ha legami di sangue (non sarebbe durato tanto). Celebri le sue parole, impresse in una vecchia registrazione, quando, al tempo della seconda intifada, parlando a dei coloni, ebbe a dire: “So cos’è l’America. L’America è una cosa che puoi spostare molto facilmente; spostala nella giusta direzione e non saranno d’intralcio” (al Jazeera).
Biden ci aveva provato, in combinato disposto con una parte del potere imperiale e con l’opposizione israeliana, interna ed esterna al governo. Aveva provato a mettere il premier israeliano nell’angolo, a costringerlo a un accordo.
Da qui il suo piano di pace annunciato in pubblico. Da qui l’ultimatum di Benny Gantz al governo israeliano di chiudere la tregua entro l’8 giugno pena le sue dimissioni, un combinato disposto che avrebbe dovuto costringere Netanyahu a piegarsi.
Il blitz dell’8 giugno, grazie al quale le forze israeliane hanno liberato quattro ostaggi, ha cambiato tutto. Un blitz riuscito, peraltro, grazie a un imponente lavoro dell’intelligence Usa, come recita il New York Times; ma, dicono fonti arabe, anche grazie all’intervento di forze americane, le quali da tempo operano a Gaza in incognito, come ha scritto a novembre Responsibile Statecraft e come aveva confidato l’aviatore Aaron Bunshell a un amico prima di darsi fuoco davanti all’ambasciata israeliana di Washington a febbraio.
Bunshell sapeva perfettamente di cosa parlava, avendo “un’autorizzazione top secret” per visionare le informazioni riservate dell’intelligence militare (New York Post).
Avrebbe potuto essere un giorno felice per l’avvenuta liberazione dei prigionieri, ma il massacro connesso e la manipolazione dell’evento ha cambiato tutto, rilanciando la guerra (Haaretz).
Alla svolta bellica si è subito consegnato il Segretario di Stato Tony Blinken che obbedisce a Biden solo quando costretto, mentre normalmente prende ordini dai liberal che fanno riferimento a Hillary Clinton.
Tanto che, inviato in Medio oriente a cercare di applicare il piano Biden, ne ha sancito il fallimento, avendo dichiarato irrealizzabili alcuni degli emendamenti chiesti da Hamas, riecheggiando la posizione del governo israeliano che li ha bollati come uno stravolgimento del piano stesso, cioè un totale rigetto.
I dirigenti di Hamas, dal canto loro, hanno detto di non aver stravolto nulla, che le loro richieste “non sono significative” e di non comprendere il muro alzato dagli Usa (Ansa). Molto più interessante quanto affermato da un suo dirigente, Osama Hamdan, il quale ha detto che “Blinken è parte del problema, non della soluzione”. Frase riferita dal Timesofisrael, con rilancio, questo sì, significativo.
Quante alle residue speranze dell’imperatore di imporre la sua volontà ai centri di potere imperiali e al riluttante Netanyahu risultano affaticate anche dai problemi familiari, con il figlio che rischia la prigione. La sua impotenza, peraltro, è fotografata anche dal fallimento delle misure annunciate urbi et orbi per portare aiuti ai civili di Gaza.
Aveva parlato di aiuti via aerea, ma sono durati due o tre settimane, rivelandosi peraltro inadeguati all’immane bisogno; e di aiuti via mare, grazie a un molo costruito ad hoc a Gaza dalla U.s. Navy, che continua a rimanere non operativo.
Al di là del particolare, resta il naufragio dei negoziati. Ora lo schema sta tutto nell’addossare ad Hamas la colpa del fallimento. L’Occidente, nelle dichiarazioni dei singoli e nei consessi, chiede ad Hamas di accettare il piano di pace di Biden, nulla importando delle sue richieste di avere garanzie sulla fine duratura degli scontri e sul ritiro israeliano che nel piano sono tanto aleatorie da consentire a Israele di ribadire che non accetterà mai una tregua prolungata…
Il Male necessario…
In questa opera di gettare su Hamas la responsabilità della prosecuzione della guerra appare significativo lo scoop del Wall Street Journal sui messaggi segreti di Yahya Sinwar, in particolare quello più pubblicizzato, nel quale il capo di Hamas a Gaza dice che è “necessario” passare per questa mattanza di civili per arrivare alla vittoria.
Ne abbiamo già scritto, annotando come il pur feroce capo di Hamas intendesse dire che le lotte di liberazione costano sangue, come evidenzia il legame che pone tra la lotta di liberazione palestinese e quella algerina, che costò un milione di morti (si consiglia di vedere o rivedere La Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, di stretta attualità).
Torniamo sul tema per una postilla. Se anche fosse fondata la lettura del WSJ, e non lo è, resta che anche dall’altra parte della barricata vige l’idea del “Male necessario“, per richiamare il titolo di un libro del professor Massimo Borghesi.
Infatti, è un male necessario uccidere 18mila bambini pur di sconfiggere Hamas. È un male necessario bombardare palazzi interi pur di uccidere un miliziano. È un male necessario torturare in maniera disumana i palestinesi pur di avere informazioni. È un male necessario continuare a fornire bombe che uccidono donne e bambini a Israele pur di non irritare l’alleato mediorientale e i circoli che lo sostengono, ebraici e non (tante le organizzazioni ebraiche che si oppongono alla mattanza, va precisato perché commuove e perché la distinzione appartiene alla razionalità).
Si potrebbe continuare, ma era solo per dire che la brutalità non sta da una parte, ma è largamente condivisa e attualmente la bilancia pende a sfavore di Israele, che ha sganciato più bombe a Gaza di quelle che nella Seconda guerra mondiale furono sganciate su Dresda, Amburgo e Londra messe assieme (Daily Guardian).
Si tratta di porre fine al mattatoio mediorientale, non di stabilire chi tra i contendenti, e tra i loro alleati, è più cattivo, perché tale sofisma serve solo a continuare questo gioco al massacro.
Si può annotare, a margine, come il rilancio della guerra di Gaza abbia preceduto di poco quello della guerra ucraina, con i 50 miliardi di euro annui stanziati per farne una guerra infinita. Le due guerre corrono in parallelo e si alimentano a vicenda.
Difficile fermare lo tsunami. Ci ha provato il premier ungherese Orban e si è dovuto piegare. Nel suo piccolo, ci ha provato anche il ministro della Difesa Guido Crosetto, che si è detto in disaccordo con l’invio dei fantastiliardi a Kiev. Lo ha detto a Bruxelles, non gli ha portato bene. Al ritorno, il suo aereo è stato costretto a fare un atterraggio di emergenza.