Il potere e i misteri di Google
Tempo di lettura: 2 minuti«A proposito di Google il Financial Times ha titolato “l’arte del monopolio”». Inizia così un articolo di Edoardo Segnantini sul Corriere della Sera del 30 aprile che rivela l’«influenza sempre più forte su Washington» del colosso del web. Nei giorni scorsi ha fatto «scalpore», spiega il cronista, «una ricerca dell’organizzazione Campaign for Accoutability e del giornale The intercept» che documenta «il numero di riunioni al vertice tra Big G e i membri del governo e il sistematico passaggio di dirigenti dell’azienda alla Casa Bianca e viceversa: duecentocinquanta casi
».
Non solo, «Johanna Shelton, responsabile delle relazioni istituzionali» di Google ha «visitato la Casa Bianca centoventotto volte». E ancora: dall’inizio della presidenza Obama alla fine del 2015, «i manager di Google hanno partecipato a riunioni alla Casa Bianca più di una volta la settimana». Insomma, Google, «sostiene la ricerca, è diventata una sorta di “braccio aziendale” del governo» Tale relazione, conclude il cronista, presenta due problemi: il primo riguarda il venir meno del «rapporto di alterità tra “regolatore” e “regolato”», l’altro «riguarda l’enorme quantità di dati personali sui cittadini che Google e il governo condividono
».
Nota a margine. Il cronista non specifica quali cittadini siano interessati a tale condivisione di dati, ma ovviamente non sono solo americani data la dimensione globale di Google. Né il problema posto da tale «intimità» di rapporti tra la Casa Bianca e Big G si può solo ridurre alla critica riguardo l’indebito gigantismo lobbistico proprio – anche se in dimensioni minori, specifica l’articolo – di altri colossi del web (e non solo): la ricerca prova che Big G è uno strumento della politica di Washington come anche, ovviamente, dell’apparato militare Usa.
È normale quindi che alcune nazioni, soprattutto quelle non in ottimi rapporti con Washington, siano diffidenti riguardo tale colosso dell’informatica, che può avere tante e diversificate applicazioni. Un’applicazione che non sembra contemplata è quella del contrasto al terrorismo internazionale, dal momento che, nonostante di tanto in tanto ciò sia annunciato nelle più alte sedi, la virulenta follia jihadista continua tranquillamente a dilagare via web.
Certo, si può immaginare che a Google o nell’apparato militare e di intelligence americano assumano soltanto informatici mediocri, mentre le reti terroristiche si avvalgono di geni, ma ci riserviamo il diritto di dubitarne. Un mistero doloroso che pone qualche domanda non indebita.