In vista una tregua a Gaza. Ma si apre il fronte del Mar Rosso
Mentre all’Onu si sta rimodellando una risoluzione proposta dagli Emirati Arabi per un cessate il fuoco a Gaza perché non incorra nel niet USA, ci sono segnali convergenti su una possibile pausa degli scontri.
Gaza, tentativi per una tregua
Si registra, infatti, un’apertura in tal senso del presidente israeliano Isaac Herzog, mentre da Hamas, che in precedenza si era detta disponibile a uno scambio di prigionieri in cambio di una tregua, sono poi giunti segnali contrastanti, prima di cessare. Probabile che a suo interno si sia chiesto il silenzio.
Probabile anche che la prospettiva di un allagamento dei tunnel di Gaza, avviata in via sperimentale da Israele, abbia complicato tutto. Hamas ha fatto sapere di non temerlo, avendo previsto tale sviluppo e preso le adeguate contromisure, ma resta che la mossa israeliana pone criticità alla sua operatività. Da cui la possibile resistenza a rilasciare tutti gli ostaggi, nella speranza che Tel Aviv desista dall’intento. Ma, nonostante i tanti fattori ostativi, sembra che le trattative siano in fase avanzata.
A far pendere la bilancia in tal senso anche l’uccisione dei tre ostaggi israeliani uccisi dal fuoco amico fuoriusciti dalla prigionia di Hamas. L’assassinio dei tre soldati, che nell’approcciarsi ai propri commilitoni si erano qualificati come israeliani, si presentavano a torso nudo per far vedere di essere disarmati e sventolavano una bandiera bianca, ha suscitato scalpore in Israele, rinfocolando le polemiche contro il governo, al quale tanti rimproverano una scarsa empatia – per usare un eufemismo – per ila sorte degli ostaggi.
La flotta a guida Usa nel Mar Rosso
Intanto, si registra la creazione della coalizione internazionale a guida Usa per contrastare le operazioni degli Houti nello Yemen, che hanno preso di mira le navi dirette verso Israele attraverso il Mar Rosso, attività che ha fatto collassare le operazioni commerciali del porto di Eliat. Un’operazione militare decisa dopo l’invasione di Gaza nell’intento di far pressioni su Tel Aviv perché receda dalla guerra.
Così The Cradle commenta la creazione della flotta internazionale a guida Usa per la sicurezza del Mar Rosso: “Invece di fare pressione su Israele affinché fermi il suo brutale attacco alla Striscia di Gaza, l’amministrazione Biden sta mobilitando le flotte arabe e occidentali – e forse anche una israeliana – per salvaguardare gli interessi economici, politici e militari di Tel Aviv”.
Al di là del livello politico, si tratta di un ulteriore coinvolgimento degli Stati Uniti nella mattanza di Gaza, nella quale sono già coinvolti con l’invio di armamenti e specialisti (e militari in incognito?) all’esercito israeliano e con l’invio di una flotta al largo delle coste libanesi per dissuadere Hezbollah da un intervento più incisivo contro Israele, sempre in supporto ad Hamas (lungo il fronte, però, lo scambio di colpi è feroce e diuturno).
La creazione di una flotta internazionale a guida Usa ha anche uno scopo indiretto. Lo rileva ancora The Cradle che racconta come proprio in questi giorni l’Arabia Saudita si stia apprestando a firmare un accordo di pace con gli Houti, con i quali sono in guerra dal 2015, intruppati in una coalizione guidata dagli Usa, per il controllo dello Yemen.
Riportiamo da The Cradle: “Secondo il quotidiano libanese Al-Akhbar, è stato finalizzato un progetto di accordo di pace tra Sanaa e Riyadh. L’accordo potrebbe essere firmato entro la fine dell’anno, ponendo potenzialmente fine alla guerra sostenuta dalla NATO che da otto anni decima il paese più povero del mondo arabo”.
Far deragliare il processo di pace yemenita
Ricordiamo che nel novembre del ’21 l‘Onu registrava che la guerra in Yemen aveva causato, tra vittime dirette e indirette (malattie, fame etc), 377mila morti, di cui tanti i bambini, un decesso infantile ogni nove minuti annotava l’Agenzia.
Più recentemente, nel marzo del ’23, Save The Children comunicava che “otto anni di conflitto hanno costretto più di 4,5 milioni di persone, tra cui più di 2 milioni di bambini e bambine, a lasciare le loro case, e si stima che21,6 milioni di persone, tra cui 11 milioni di bambine e bambini, abbiano bisogno di assistenza umanitaria”.
Un’ecatombe alla quale si stava per porre fine. Ma, come denuncia The Cradle, gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni sull’Arabia Saudita perché rimandi la pace e prenda parte alla coalizione internazionale per la sicurezza del Mar Rosso. Di fatto si chiede a Riad di ingaggiare di nuovo guerra agli Houti…
Così, la creazione della forza multinazionale a protezione del Mar Rosso oltre a proteggere specifici interessi israeliani, accompagnando di fatto la macelleria di Gaza, avrà come esito quello di rinfocolare il conflitto yemenita, che gli Stati Uniti non vogliono che si chiuda in ottemperanza alla dottrina delle guerre infinite (tanti i miliardi spesi da Riad in armamenti Usa per questa guerra).
Inoltre, si vuole forzare Riad a una prossimità a israele dalla quale essa sta tentando di divincolarsi, dinamica peraltro rafforzata dopo l’invasione di Gaza, che Riad ha condannato insieme agli altri Paesi arabi.
Un intervento diretto in Yemen?
Ma la forza internazionale che batterà il Mar Rosso potrebbe avere anche uno scopo più recondito, quello di portare a un intervento diretto delle forze americane, e dei suoi alleati, in Yemen contro gli Houti.
Gli Houti, infatti, hanno annunciato che la loro opera di contrasto alle navi dirette ai porti israeliani proseguiranno nonostante la forza di interposizione di cui sopra. Non è difficile immaginare che la forza navale a guida Usa non solo intercetti droni e missili indirizzati contro le navi civili in transito, ma colpisca anche i vettori degli stessi nel profondo del territorio yemenita. Né si può escludere che tale tensione porti a una reiterazione dell’incidente del Tonchino, che diede inizio all’intervento Usa nel Vietnam.
Infine, va considerato che un attacco diretto o indiretto contro gli Houti potrebbe portare a una guerra su larga scala contro Teheran, di cui gli Houti sono alleati, sia per le dinamiche proprie dell’eventuale conflitto, sia per possibili incidenti di percorso (si rimanda sempre al Tonchino). Il coinvolgimento di altri Paesi nella task force rischia di coinvolgere anche questi in una simile, eventuale, nefasta avventura.
L’amministrazione Usa non vuole un allargamento del conflitto all’Iran, che sa disastroso anche per gli Stati Uniti, soprattutto ora che le sue scorte di armi sono ridotte a causa delle guerre in ucraina e a Gaza; e prenderà le precauzioni del caso, Ma sia Netanyahu che i neocon spingono da tempo per un’aggressione contro Teheran. da cui gli imprevisti del caso.
Insomma, invece di gettare acqua sul fuoco, spingendo decisamente per un cessate il fuoco permanente a Gaza, Washington sta alimentando le fiamme che potrebbero incendiare l’intero Medio oriente, se non il mondo. Una guerra contro l’Iran, infatti, presenta tanti imprevisti, alcuni dei quali di portata globale.