L'incendio mediorientale: le responsabilità degli Usa
“Israele ha praticamente dichiarato guerra in Medio Oriente, un conflitto che non può sperare di vincere”. Questo il titolo di un articolo di Simon Tisdall sul Guardian, la cui conclusione è però sospesa a diverse variabili, anzitutto alla possibilità che gli Stati Uniti sostengano Tel Aviv, come anche al livello che raggiungerà tale sostegno, alla possibilità che vengano usate testate atomiche etc.
La variabile atomica e la cieca difesa di Israele
La possibilità che inizino a piovere bombe nucleari non è affatto aleatoria. Anzitutto si considera che in un conflitto contro l’Iran gli Stati Uniti potrebbero registrare perdite catastrofiche sia nel teatro di guerra che nelle varie basi dislocate nella regione, perdite che peraltro esaurirebbero le sue risorse, già logorate dalla guerra ucraina, al punto da fargli perdere la sfida più strategica e di più lunga durata con Cina e Russia. Da cui la possibilità che decidano di tagliare il nodo gordiano in fretta, con la spada atomica.
Quanto a Israele, la follia della sua leadership è ormai sotto gli occhi di tutti e la pioggia di missili che imperverserà sul suo territorio la porterebbe al parossismo. Ha le testate nucleari, le userà se qualcuno non interverrà con decisione.
Quanto alla possibile discesa in campo degli Stati Uniti, il ministro della Difesa Lloyd Austin ha già detto che l’U.S. Army difenderà Israele, arrogandosi un potere che non è suo, dal momento che la decisione spetterebbe al presidente (in realtà, dovrebbe essere il Congresso a decidere, ma da tempo non è così).
Ma Austin, in realtà, si è limitato a esprimere la posizione ormai immutabile degli Stati Uniti, che è quella di difendere ciecamente Israele. Ed è più che probabile che l’Impero trascini le sue colonie nel conflitto, in particolare se esso andrà a prolungarsi.
Non saremmo arrivati a tanto se gli Stati Uniti non avessero sostenuto pubblicamente e concretamente Israele a tutti i livelli, né la situazione sarebbe tanto tragica se l’errore, se si vuole chiamarlo così, non venisse reiterato adesso.
Così Dave DeCamp su Antiwar: “I funzionari statunitensi affermano essere impegnati ad allentare le tensioni in Medio Oriente, ma inviare aiuti militari incondizionati a Israele e promettere di difenderlo da qualsiasi conseguenza non fa che incoraggiare il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che sembra determinato a coinvolgere gli Stati Uniti in una guerra su larga scala”.
Su quest’ultimo punto, un cenno analogo sul New York Times: “Washington non dovrebbe sottovalutare né la volontà del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di trascinare gli Stati Uniti in una guerra disastrosa, né la possibilità che l’Iran intervenga militarmente”.
Non è solo la follia di Netanyahu e dei suoi sodali ad aver trascinato il mondo sull’orlo dell’abisso, la responsabilità è anche e soprattutto degli Stati Uniti. Senza il Golem americano a supportarlo, Israele avrebbe agito in ben altro modo, sia nella macelleria di Gaza sia nel più vasto agone mediorientale.
Il cratere di Majdal Shams
Sarebbe bastato, ad esempio, anche nel caso specifico, non sposare come dogma indiscutibile la versione israeliana per la strage di Majdal Shams, che ha dato la stura a questa nuova escalation. Un riflesso condizionato, ormai, quello della Difesa e della Sicurezza Usa, che tanti danni ha fatto finora.
Peraltro, i dubbi sulle responsabilità di Hezbollah per la strage sono sempre più convincenti. Uno su tutti: il cratere lasciato dal missile che ha fatto strage. Le foto ufficiali mostrano un cratere appena percepibile, di pochi centimetri, cosa impossibile per una testata di oltre 50 Kg, tale la testata del Falaq che secondo la versione israeliana sarebbe stato utilizzato nell’occasione.
Su The Cradle, le immagini di un cratere ben più profondo e ampio prodotto dall’esplosione di un Falaq a Kyriat Shmona, peraltro lasciato sull’asfalto e non su un campo di calcio – terreno molto meno resistente – come quello che si vede nel villaggio druso.
Ora l’Iran sta meditando una risposta alla violazione della sua sovranità causata dall’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh sul suo territorio. Arriverà al momento e nel posto giusto, hanno detto i suoi funzionari. Mentre Hezbollah ha dichiarato che risponderà all’uccisione di Fouad Choukor, braccio destro del suo leader Hassan Nasrallah, ucciso in un bombardamento su Beirut che ha tolto la vita anche a due bambini, i fratelli Amira e Hassan Fadlallah, e a due donne (solo danni collaterali…).
Non è dato di sapere se la reazione del cosiddetto Asse della resistenza innescherà una guerra su larga scala, sappiamo però che Netanyahu vuole assolutamente questa guerra e, se non riuscirà questa volta, cercherà di creare un altro casus belli. Chi segue il Medio oriente da tempo, sa che da decenni sogna il redde rationem con l’Iran. E i falchi Usa con lui.
Non si lasceranno scappare l’occasione. Tale la follia dell’amministrazione Usa, che ha permesso che la situazione degenerasse fino ad arrivare quasi a un punto di non ritorno (il “quasi” è di speranza).