L'India e le "guerre stellari" di Trump
Il 27 marzo Narendra Modi, primo ministro di Nuova Delhi, ha riportato pubblicamente la notizia della distruzione di un satellite indiano, orbitante a circa 300 km dalla superficie terrestre, tramite l’uso di un’arma anti-satellite che conferisce di diritto all’India lo status di potenza “spaziale”, detenuto fino ad ora solo da Stati Uniti, Russia e Cina.
L’esplosione del satellite, riporta Al-Jazeera, pur essendo avvenuta a grande distanza dalla stazione spaziale internazionale (ISS), ha generato circa 400 detriti, 24 dei quali potrebbero potenzialmente mettere a rischio le vite degli astronauti presenti sulla stazione, anche se studi successivi hanno relativizzato tali rischi.
Azioni e reazioni
La questione ha scatenato diverse reazioni, come quella di Jim Bridenstine, amministratore della Nasa il quale ha etichettato l’esperimento come un “evento terribile”, riporta la CNN, aggiungendo che “non è accettabile da parte nostra permettere la creazione di campi di detriti orbitali che mettano a rischio il nostro personale”.
Lo sviluppo di tecnologie anti-satellite da parte di più Paesi, in grado così di colpire bersagli nello spazio con precisione, conduce inevitabilmente a nuove problematiche, forse più intricate di quelle propriamente “terrestri”.
La possibilità di distruggere satelliti dalla terra, propria ora anche dell’India, comporta delle implicazioni importanti per la sicurezza internazionale.
Militarizzazione e nuovi obiettivi
Già dal 2007, anno in cui la Cina ha intrapreso con successo una missione simile, l’attenzione sulla militarizzazione dello spazio è cresciuta a dismisura, proporzionalmente alla scarsità di norme e leggi che la regolerebbero.
Considerando che l’odierna tecnologia, sia civile sia militare, si basa quasi esclusivamente sul funzionamento di una gran quantità di satelliti, più di 400 attualmente orbitanti intorno alla terra, la facoltà di poterli distruggere comporta indiscutibilmente una minaccia reale per tutti quei paesi impossibilitati a difendersi da tali attacchi.
Sembra quindi che lo spazio sia sempre più vicino a diventare una nuova frontiera militare, nonostante la presenza dell’Outer Space Treaty, un trattato stilato nel 1967 che vieta a ogni stato firmatario di reclamare possedimenti nello spazio e di collocare armi nucleari, o altri tipi di arma di distruzione di massa, nell’orbita terrestre, sulla Luna o su qualunque altro corpo celeste.
Norme che apparentemente vanno in forte contrasto con la decisione presa l’anno scorso dal presidente Trump di fondare “Space Force”, una branca autonoma delle forze armate statunitensi con compiti di “sicurezza”. Annuncio che all’epoca ha destato ironia e scetticismo, ma che sembra diventare giorno dopo giorno sempre più reale.
Spazio ultima frontiera
Di conseguenza la decisione degli Stati uniti di creare un “esercito spaziale”, esempio che verrebbe inevitabilmente seguito dalle altre potenze mondiali (vedi su “Gli occhi della guerra” l’articolo di Lorenzo Vita), rivela nel migliore dei casi una forte noncuranza delle norme internazionali riguardanti lo spazio.
Non è troppo assurdo, quindi, pensare che in un mondo dove la nuova frontiera spaziale sembra essere sempre più vicina, una coalizione di potenze mondiali avrebbe il potere di creare un nuovo trattato, più morbido verso le nuove “esigenze” di sicurezza.
È presumibile che la smilitarizzazione dello spazio, garantita da trattati pregressi ed evidentemente lungimiranti, si appresta a essere superata. Con nuove criticità: alle usate conflittualità terrestri verranno ad aggiungersi quelle “spaziali”.