Iniziano nel manovre per sostituire Biden
La casta statunitense si appresta a sostituire l’imperatore. Il procuratore speciale che ha indagato Biden per il possesso indebito di documenti riservati ha dato il “la” denunciandone la demenza senile ed è iniziata la procedura per la dismissione. Lo indica la dichiarazione di Kamala Harris, che ha detto di essere “pronta a servire come leader“.
Michelle vs Newson per la poltrona di Biden
La dichiarazione così esplicita e pubblica della vicepresidente, infatti, è davvero irrituale e segnala che da adesso si gioca a carte scoperte, abbandonando gli infingimenti. Tutto è pronto per il cambio di guardia.
A questo punto, si tratta solo di scegliere bene i tempi (sempre che Biden non riesca a trovare puntelli insperati) e la forma. Difficile che si dimetta di sua spontanea volontà, ma può essere forzato. Altrimenti si procederà attraverso vie più dure (sui siti cosiddetti complottisti anche l’ipotesi che sia assassinato a ridosso delle elezioni, per ottenere l’effetto martire in favore di un sostituto).
Quanto all’eletto, nel senso più elitario del termine, che sarebbe scelto come candidato alle presidenziali dall’establishment, i nomi in lizza attualmente sono Michelle Obama e il governatore della California Gavin Newson.
Sulla prima è già iniziato un fuoco di sbarramento, per ora sottile, da parte dell’establishment, che non si fida della moglie dell’ex presidente perché sanno che replicherebbe l’approccio da “guerriero riluttante” del marito nei confronti delle criticità proprie della politica estera. E ciò non è gradito ai falchi.
Newson, invece, è un pollo d’allevamento e sarebbe perfetto nel ruolo di bombardiere sorridente. Da tempo il suo nome è caldeggiato, ma secondo il Daily mail la prospettiva di lanciarlo si sta consolidando. Così il media britannico: “Il governatore ultra-progressista della California, Gavin Newsom, è giunto a Las Vegas prima del Super Bowl e sta trascorrendo il suo tempo a Sin City intrattenendosi con i miliardari e Tom Brady [leggenda del football americano ndr.], mentre crescono le speculazioni sul fatto che Joe Biden si dimetterà”.
La debolezza di Austin e il licenziamento di Zaluznhy
In attesa degli sviluppi, ai quali Biden resiste con tutte le sue residue forze, va rilevato che la debolezza del presidente si è manifestata in tutta la sua plasticità in parallelo con quella del Capo del Pentagono Lloyd Austin, ricoverato nuovamente per un tumore. I particolari sono ovviamente riservati, ma si sa che è in terapia intensiva, non una cosa da poco.
Sul punto va rilevato che l’indebolimento, non solo fisico, di Austin ha decretato la fine politica del Capo delle forze armate ucraine Valery Zaluznhy, che nel Pentagono aveva il suo puntello più forte (tanto che alla prima richiesta di dimissioni da parte di Zelensky era riuscito a resistere proprio in forza di tale appoggio).
Ciò è indicativo di come la debolezza delle autorità costituite dell’Impero d’Occidente, salutata come provvidenziale dai suoi critici (critiche pure ragionevoli), in realtà da tempo va a rafforzare l’ala più aggressiva dell’establishment, il partito unico che unisce neocon repubblicani e liberal democratici.
Tale dinamica è da tener presente anche per quanto riguarda la prospettiva della sostituzione di Biden (si ricordi, sotto tale profilo, come i neocon abbiamo massimizzato il loro ruolo in seno all’Impero sfruttando la debolezza del presidente George W. Bush).
Detto questo, nonostante l’establishment sia ormai quasi riuscito a raggiungere l’obiettivo (perseguito da tempo) di scalzare Biden, per la prima volta appare spaventato dalla concorrenza.
Erano certi, infatti, di poter eliminare dalla corsa presidenziale Trump, per via giudiziaria o altro. Ora tale certezza sembra che stia venendo meno. Non tanto per il seguito che ha Trump – che aveva anche prima, ma non era un problema – quanto perché attorno al tycoon si sono strette forze prima allineate alle loro direttive.
Ciò perché la decadenza dell’Impero e le nefaste conseguenze di una politica votata all’aggressività, sia verso l’interno (dove una parte socio-politica – il Maga – è criminalizzata) che in politica estera (modulata solo attraverso l’hard power) sono diventate più evidenti che mai.