12 Febbraio 2025

L'inviato di Trump, Steve Wiktoff, incontra Putin

Tre ore e mezza di colloquio tra Witkoff e Putin. Più che probabile che si sia parlato anche, e soprattutto, di Gaza
di Davide Malacaria
L'inviato di Trump, Steve Wiktoff, incontra Putin
Tempo di lettura: 4 minuti

È stata confermata la missione segreta di Steve Witkoff a Mosca, che ufficialmente è stata collegata a uno scambio di prigionieri tra Stati Uniti e Russia e alle trattative per l’Ucraina. Witkoff è tornato negli Usa riportando in patria Marc Fogel, cittadino statunitense detenuto in Russia e Trump ha lodato il gesto “gentile” di Putin, aggiungendo che si stanno facendo passi avanti per la soluzione del conflitto ucraino.

Il colloquio-fiume con Putin

I resoconti dettagliano che Witkoff si è intrattenuto con Putin per tre ore e mezza, un dialogo approfondito e di tale livello che evidenza che non si è recato a Mosca solo per uno scambio di prigionieri e probabilmente neanche per parlare solo dell’Ucraina (peraltro, sembra che gli Usa non abbiano fretta di chiudere un conflitto che si sta risolvendo sul campo di battaglia, mettendo la leadership di Kiev alle corde).

L'inviato di Trump Witkoff ha parlato per 3 ore e mezza con Putin

Non sfugge che Witkoff, l’uomo più vicino al presidente degli Stati Uniti – tanto che era con lui al golf club di West Palm Beach quando fu preso di mira dal secondo attentato fallito – finora si è occupato del complesso dossier Gaza, che incombe molto più della crisi ucraina.

Più che probabile, quindi, che abbia parlato di questo a Putin, come sembra adombrare anche la notizia odierna, rivelata da Israel Hayom, che vede Witkoff tuttora “impegnato” a fondo per salvare l’accordo con Hamas (sempre oggi, il Jerusalem Post rivela che Witkoff dovrebbe recarsi in Israele in questi giorni).

Witkoff scrambles to save hostage deal before deadline

Ciò anche perché il dossier ucraino è oggetto di intense trattative a vari livelli, non c’era bisogno di una missione tanto delicata per portarle avanti, mentre invece la criticità Gaza rischia di esplodere sabato prossimo, quando scadrà l’ultimatum di Trump e Netanyahu ad Hamas riguardo la liberazione degli ostaggi.

Peraltro, la Russia è stata cauta sulle folli sparate di Trump riguardo lo sfollamento di Gaza, non bocciandole preventivamente, ma comunicando di attendere “dettagli”. Probabile che Witkoff li abbia esposti a Putin, com’è probabile che si discostino dalle posizioni pubbliche, altrimenti non c’era bisogno di un incontro tanto riservato.

Quanto all’ultimatum di sabato, Hamas ha frenato sulla liberazione degli ostaggi “per fare pressione su Israele” affinché si proceda all’apertura della seconda fase dei negoziati, come spiega Yedioth Ahronoth, nel corso della quale si dovrebbe prolungare la tregua per trattare sul futuro di Gaza, prospettiva che Netanyahu rigetta essendo intenzionato a portare a compimento l’incenerimento di Gaza e l’annessione della Cisgiordania (dove intanto proseguono le operazioni israeliane che da gennaio hanno prodotto 44 morti, mentre gli sfollati hanno ormai raggiunto quota 40mila).

Hamas avoids collapse of deal but seeks concessions in Phase II

Trump ospita il re giordano. Al Sisi non va alla Casa Bianca

È iniziata una corsa contro il tempo per frenare la follia sanguinaria che incombe su Gaza. Le sparate di Trump non aiutano affatto, anzi Netanyahu le sta usando alla grande. Nei prossimi giorni sarà chiaro se quella del presidente Usa è una tattica per tener buoni i mastini israeliani mentre lavora in segreto per attutire le tensioni o davvero crede al suo fantomatico piano.

Nel frattempo, ha ospitato il re di Giordania Abdullah, al quale ha ripetuto il nefasto mantra sullo sfollamento dei gazawi. L’agone pubblico ha visto Abdullah ascoltare in silenzio Trump, limitandosi a lodarlo come pacificatore e ad assicurare che il suo Paese è pronto a ospitare duemila bambini ammalati di Gaza – promessa già fatta in precedenza, nulla più.

Trump, da parte sua, ha lasciato cadere il discorso sulla cessazione degli aiuti alla Giordania se non avesse accolto i palestinesi, spiegando che si sta parlando a “un livello superiore”. Nulla si sa, invece, dell’incontro svolto a porte chiuse tra i due. Si sa solo che, in un comunicato successivo, Abdullah ha rinnovato il rifiuto dello sfollamento dei palestinesi.

L’altro Paese che secondo Trump dovrebbe ospitare i palestinesi cacciati dalla propria terra, l’Egitto, ha oggi reso pubblico un comunicato nel quale si dice pronto a stilare un “piano globale” per la ricostruzione di Gaza che garantisca ai palestinesi di rimanere in patria, mentre il presidente al Sisi ha fatto sapere che non si recherà negli Stati Uniti finché il presidente manterrà la sua assurda posizione.

Mediazione ancora possibile

Quanto alla proposta di Trump, di interesse un articolo del Jerusalem Post che, nonostante sia del tutto in linea con i desiderata di Israele per Gaza, dopo aver accennato al colpevole e diuturno immobilismo dei Paesi arabi rispetto al conflitto israelo-palestinese, conclude: “Ciò che conta non è che il piano [di Trump] porti a ottenere tutto. In un processo di negoziazione si espongono le proprie richieste e poi si cerca di ottenere qualcosa a metà strada. La posizione iniziale non è necessariamente ciò a cui si desidera arrivare”.

Trump’s plan is already getting Egypt, Jordan to make moves - analysis

“Trump ha aperto con una grande richiesta di spostare circa 1,7 milioni di abitanti di Gaza e di far sì che gli USA assumano un ruolo a Gaza, mentre altri [gli arabi ndr] pagano per ricostruirla. Se si riuscirà a ottenere qualcosa da tutto ciò, sarà un successo”.

Un’opzione che circola tra gli osservatori è un protettorato Usa della Striscia – che eviterebbe altre bombe israeliane – i Paesi arabi che la ricostruiscono e supervisionano la gestione amministrativa affidata ai palestinesi. Non è la patria dei palestinesi, alla quale essi hanno ancora più diritto dopo il genocidio, ma evita una nuova mattanza. Tutto il resto è affidato all’incerto futuro.

In attesa degli sviluppi, Yossi Melmam su Haaretz fa notare che, con la sua “cacofonia” su Gaza, Trump “ha oscurato la politica chiave promossa dal primo ministro israeliano”, cioè l’attacco all’Iran, “l’ossessione strategica e personale di Netanyahu” – che probabilmente era il vero motivo sotteso alla sua recente visita negli Usa.

Amid the Gaza Uproar, Trump Shot Down Netanyahu on Iran

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