Iran: la lotta del mondo contro i criminali neoconservatori
Tempo di lettura: 3 minutiL’Iran ha iniziato ad arricchire il suo uranio, dopo anni che non accadeva grazie all’accordo pattuito con Obama e stracciato dall’amministrazione Trump.
In realtà Teheran “non ha iniziato una corsa verso il nucleare”, come scrive Mary Kaszynski sul National Interest, sta solo cercando di forzare l’Europa, che dichiara di riconoscere ancora quel patto, ma non è conseguente. Troppa paura delle sanzioni Usa.
Il ricatto finanziario “made in USA”
“Dato il dominio degli Stati Uniti sul sistema finanziario e il modo in cui le società europee e multinazionali dipendono da questo sistema, l’Europa è in una posizione sfavorevole per aggirare le sanzioni statunitensi”, spiega infatti Barbara Slavin, direttrice dell’Atlantic Council’s Future of Iran Initiative sul sito ufficiale dell’autorevole think tank.
Gli Usa possono “vendicarsi” in maniera devastante contro aziende europee che agissero in violazione delle loro direttive. Anche il sistema Instex, il meccanismo – da poco operativo – che consente uno scambio a livello umanitario è poca cosa rispetto ai bisogni di una nazione drasticamente impoverita dalle sanzioni.
L’attuazione di Instex “è un gesto più politico che pratico”, dice la Slavin; e serve solo a manifestare a Teheran la timida sollecitudine europea per la sua sorte. Cosa che ovviamente non basta a Teheran, cui necessita ben altro per uscire da questa situazione che, alla lunga, rischia di diventare ingestibile.
La povertà, creando malcontento, può innescare una rivolta contro le autorità per instaurare un governo più prono ai desideri Usa, come avvenne con lo scià Reza Palevi.
E, nel caso la rivolta non riuscisse, cosa più che probabile dato il potere di interdizione delle Guardie repubblicane, si creerebbe però un’instabilità favorevole a interventi esterni, ad esempio a sostegno dei “ribelli” impegnati in una “guerra civile” contro il regime (cioè quanto accaduto in Siria).
L’azzardo iraniano
Da qui la necessità per Teheran di far leva sui Paesi che non vogliono la guerra ma allo stesso tempo fanno poco per frenarla. E come leva hanno scelto la via della drammatizzazione dello scontro, sforando la soglia dell’arricchimento dell’uranio.
Una mossa “reversibile”, come ha spiegato il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif, ma che aumenta il rischio di un conflitto, tanto che anche Russia e Cina, oltre ai Paesi Ue, hanno chiesto all’Iran di ripensarci.
Il motivo lo spiega una nota del National Interest: “Le azioni dell’Iran, in particolare la violazione della soglia di arricchimento dell’uranio, sono una risposta diretta alle provocazioni statunitensi”.
Ma “questo è esattamente quello che vuole Bolton. Bolton e gli altri falchi anti-Iran stanno cercando di creare un casus belli, una giustificazione per l’azione militare”.
D’altronde il Consigliere per la sicurezza nazionale Usa è l’alfiere, nell’amministrazione Trump, della schiera dei “criminali neoconservatori, persone convinte, nonostante i fallimenti del passato, a credere che shock e paura possano risolvere tutti i problemi” (così Paul Krugman in un vecchio articolo del New York Times).
A fronte del potere di tali criminali, in America tanti sono gli ambiti critici della politica americana verso l’Iran e stanno tentando di frenare. Una mozione bipartisan per impedire un intervento senza autorizzazione del Congresso è stata appena bocciata, ma gli oppositori non demordono.
Va segnalata, in questo senso, la singolare idea che si sta dibattendo al Dipartimento di Stato Usa, dove si annidano tanti oppositori di questa guerra.
Lo racconta un articolo realizzato da Politico e South China morning Post (significativa la partnership tra il più autorevole sito politico americano e il più importante giornale di Hong Kong).
Il petrolio e il dragone
La Cina, si legge nell’articolo, ha continuato a importare petrolio iraniano nonostante le sanzioni (particolare che spiega anche l’accanimento dell’amministrazione Usa contro Pechino).
Ma tale commercio è diminuito dopo la stretta degli ultimi tempi. Se però a Teheran fosse garantito tale flusso vitale (e iniziasse a funzionare veramente Il canale Instex con l’Europa che si può aggiungere), essa vedrebbe alleviata non poco la situazione (verrebbe peraltro vanificato l’esercizio muscolare Usa).
L’escamotage che stanno immaginando al Dipartimento di Stato riguarda la modalità con cui è sanzionato il petrolio iraniano.
Le sanzioni, infatti, colpiscono le aziende che “acquistano” il petrolio iraniano. Ma al Dipartimento di Stato stanno “pensando seriamente” di consentirne invece “l’importazione“, che è altro dall’acquisto e quindi è esente dal divieto.
Un cavillo, ma geniale: si tratterebbe cioè di concedere ai cinesi di importare il petrolio senza comprarlo, ma “come pagamento in natura per i consistenti investimenti della compagnia petrolifera cinese Sinopec” in Iran. Trovata intelligente, potrebbe aiutare.
Resta che si tratta di un beneficio finanziario, che dovrebbe tradursi in qualcosa di più concreto. La gente di Teheran deve pur mangiare. Vedremo.