Iran: Trump ordina l'attacco e poi frena
Tempo di lettura: 4 minutiTrump ordina un attacco contro l’Iran, poi lo ritira all’ultimo minuto. Guerra evitata per un soffio, ma quanto accaduto dà la misura di una situazione sempre più ingestibile.
Casus belli l’abbattimento di un drone Usa, che gli iraniani dicono violava il proprio spazio aereo mentre per gli americani si trovava in area internazionale. Controversia irrisolvibile dato che gli antagonisti sono talmente a ridosso da contendersi centimetri di cielo.
I giornali americani riferiscono delle tensioni interne all’amministrazione Usa, con il Pentagono che ha frenato gli stranamore e con la ritirata finale di Trump, che non vuole questa guerra ma non riesce a dare una calmata ai suoi falchi.
Dall’affondamento dell’Uss Maine a Bolton
Di ieri un articolo di Peter Beinart su The Atlantic, dal titolo: “Bolton continua a cercare di trascinare l’Iran in guerra”.
Così Beinart: nella sua storia, “l’America ha attaccato paesi che non la minacciavano. Per intraprendere tali guerre, i leader americani hanno escogitato pretesti per giustificare l’aggressione. Questo è ciò che l’amministrazione di Donald Trump – e in particolare il suo consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton – sta facendo oggi con l’Iran”.
La nota ripercorre la storia Usa, dall’affondamento del Maine, che diede inizio all’invasione di Cuba, all’incidente del Tonchino (Vietnam), per arrivare ai nostri giorni nei quali, con l’annullamento del trattato sul nucleare iraniano e le sanzioni, si sta producendo un clima propizio al conflitto, più volte evocato da Bolton.
Messaggi notturni
Ma Bolton è solo un portavoce del composito ambito neocon che spinge per la guerra. Stavolta Trump ha frenato, ma potrebbe non riuscirci in futuro.
La Reuters riferisce che nella notte, tramite l’Oman, avrebbe trasmesso un messaggio a Teheran, nel quale si intimerebbe alle autorità iraniane di aprirsi a breve al dialogo per evitare un imminente intervento Usa. Una notizia che l’Iran ha smentito.
Controversia significativa, perché se la nota è vera non concede spazio alla diplomazia, altrimenti è confermato il preferibile stallo attuale.
L’Iran e il giallo Khashoggi
Probabile che l’impennata di Trump abbia anche una spiegazione altra dalla criticità iraniana. Due giorni fa l’Onu ha pubblicato un documento sull’omicidio di Jamal Khashoggi che accusa del crimine Mohamed bin Salman.
Ciò mette in dubbio la narrativa della “malignità” dell’Iran che minaccia il buon vicinato regionale e la credibilità dei sauditi, alleato chiave della campagna anti-iraniana.
E ha rafforzato quanti, nel Congresso, spingono per togliere l’appoggio Usa al controverso principe saudita e alla sua guerra contro gli houti in Yemen; e soprattutto per negargli le armi Usa.
Commesse miliardarie, che proprio a seguito della denuncia dell’Onu sono state temporaneamente bloccate dal Congresso (New York Times).
La notizia di un intervento Usa in Iran ha stornato l’attenzione di politici e media dalla vicenda. Pericolo di guerra, Khashoggi può attendere…
Poteri di guerra
La controversia sulle armi destinate a Riad si intreccia con un’altra, non meno importante, volta a togliere al presidente il potere di dichiarare guerra senza l’autorizzazione del Congresso.
Una querelle di alcuni anni fa, ma che ha ripreso vigore con la crisi iraniana. Tanto che l’amministrazione sta tentando nuove vie.
Alcuni giorni fa, il tentativo del Segretario di Stato Mike Pompeo di denunciare i legami tra l’Iran e al Qaeda, che permetterebbe di giustificare un intervento in base alla legge varata nel post 11 settembre contro la minaccia terrorista.
Sul punto, un durissimo editoriale del New York Times, che, dopo aver anch’esso evocato il Maine e il Tonchino, denuncia: “Collegare Al Qaeda a un dispotico regime mediorientale è esattamente lo stesso pretesto che l’amministrazione di George W. Bush ha usato per invadere l’Iraq, con risultati catastrofici. Se l’amministrazione Trump tenterà di usare tale espediente sarebbe un insulto all’intelligenza degli americani”.
Trump, guerriero riluttante
Battaglia durissima, insomma. Il fronte che si oppone alla guerra sta aiutando Trump a frenare le spinte belliciste.
Il presidente sa bene che si sta giocando tanto: il rapporto con Cina e Russia, che vuol migliorare, come la sua rielezione, dato che la guerra sarebbe così catastrofica e tanto chiara la sua responsabilità che rischia di essere punito dagli elettori (1). Ma ha ceduto tanto, troppo ai suoi influencer e i suoi spazi di manovra si restringono.
Bizzarrie della geopolitica: il suo principale alleato, Netanyahu, punta invece sul conflitto per rilanciarsi come l’unico politico israeliano in grado di gestire i giorni di tempesta (vedi Haaretz).
Di fatto, già oggi si è ritagliato un ruolo di primo piano, come dimostra il fatto che domenica Bolton giungerà in Israele per incontrarlo, prima di riunirsi con i consiglieri per sicurezza nazionale russo e israeliano. Vedremo.
(1) Così Infowars, sito estremo, punto di riferimento dei suoi elettori più convinti: “Donald Trump non è stato eletto per coinvolgerci in altre guerre; è stato eletto per porre fine a quelle che ha ereditato dai sedici anni di guerra che hanno preceduto il suo mandato” (titolo della nota: “Trump farà la cosa giusta”).