29 Marzo 2025

Iran-Usa: missive e tintinnio di sciabole

L'Iran invia una lettera a Trump in risposta alla sua. Un dialogo che si è intrecciato sullo sfondo di crescenti tensioni a rischio guerra
di Davide Malacaria
Iran-Usa: missive e tintinnio di sciaboleIran-Usa: missive e tintinnio di sciabole
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L’Iran ha risposto alla missiva inviata da Trump all’ayatollah Khamenei, nella quale il presidente americano prospettava un nuovo accordo o una guerra. E, rispondendo, ha ribadito la propria apertura a negoziati, anche se indiretti, ma rigettando due richieste massimaliste prospettate nella lettera presidenziale: l’arsenale missilistico iraniano non sarà tema di negoziati né Teheran si può impegnare a disarmare le milizie sciite mediorientali perché partner indipendenti.

קריאה לשיתוף פעולה ואיום מפורש: תוכן המכתב של טראמפ לחמינאי נחשף

Significative le parole Ali Shamkhani, ex segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran, il quale ha dichiarato che nella risposta Teheran è improntata alla moderazione.

https://www.tasnimnews.com/en/news/2025/03/28/3282549/iran-has-shown-restraint-in-reply-to-trump-s-letter-shamkhani

Di bombe e missili

In parallelo allo scambio di missive lo sfoggio muscolare. “Una quantità significativa della potenza militare statunitense si è messa in movimento la scorsa settimana,  compresi diversi bombardieri strategici B-2 atterrati alla base militare statunitense Diego Garcia nell’Oceano Indiano, a poco più di 2.000 miglia a sud-est dell’Iran”. Così Daniel McAdams sul sito del Ron Paul Institute.

Diego Garcia Smells Like War

“Secondo i resoconti della stampa, questa è la presenza più significativa di B-2 sull’isola da circa mezzo decennio. Inoltre, i tracciati di volo mostrano un incremento dell’attività nella regione di almeno nove aerei da rifornimento KC-135R. A ciò si aggiunge che i satelliti hanno avvistato diversi aerei cargo C-17 sull’isola. E il presidente degli Stati Uniti ha ordinato al gruppo d’attacco della portaerei statunitense Carl Vinson di recarsi in Medio Oriente”.

Sfoggio muscolare esercitato anche in modalità bellica, con i rinnovati bombardamenti contro il martoriato Yemen, saliti di intensità rispetto a quelli della presidenza Biden.

Le minacce dell’amministrazione Trump non sono passate inosservate a Teheran, che ha risposto con un video che rivelava un’immensa base missilistica sotterranea e ha ricordato all’America che può chiudere lo Stretto di Ormuz al traffico navale, iniziativa che avrebbe conseguenze devastanti per il commercio globale, anzitutto quello petrolifero.

Nonostante ciò, Teheran non ha carte per dissuadere i falchi anti-iraniani, una cabala che collega i neocon Usa a Netanyahu, dal momento che non ha di fronte avversari razionali. Nessuna motivazione ragionevole nell’ossessione di tali ambiti per scatenare il conflitto, che nella loro prospettiva darebbe compimento alla Grande Israele, eliminando l’ostacolo più grande a questo sviluppo geopolitico, che renderebbe Tel Aviv il dominus incontrastato del Medio oriente elevandolo al rango di grande potenza mondiale, sogno di gloria esplicitamente dichiarato dal premier israeliano.

Netanyahu: We’re turning Israel into a world power

La follia risiede nel fatto che sarebbe la più grande guerra mai scatenata dalla Seconda guerra mondiale e Israele non ne uscirebbe certo indenne, anzi, conseguenza che ha la potenzialità di far correre le dita al grilletto nucleare, eventualità peraltro evocata da Netanyahu.

Insomma, una follia da dottor Stranamore, alquanto simile a quella che si registra nei circoli internazionali che brandiscono la terza guerra mondiale nell’ambito del conflitto ucraino, che poi sono gli stessi.

Bomba o non bomba

Tale follia sarà o non sarà a seconda dell’esito del braccio di ferro che si sta svolgendo nel cuore dell’Impero e di cui scrive Sina Toossi su Responsible Statecraft nell’articolo dal titolo: “La guerra per la guerra contro l’Iran è appena iniziata”.

The war over war with Iran has just begun

Riportiamo: “Trump ha recentemente dichiarato : ‘Qualcosa accadrà presto all’Iran’. Ma ha anche chiarito: ‘Spero che possiamo raggiungere un accordo di pace. Non è una questione di forza o debolezza, sto solo dicendo che preferirei un accordo di pace piuttosto che altro’. Queste non sono le parole di un guerrafondaio. Sono le parole di un negoziatore, una persona che vede ancora il valore della diplomazia”.

“Trump non è il solo. In una recente intervista con Tucker Carlson, il suo inviato per la politica estera Steven Witkoff ha offerto una prospettiva notevolmente più sobria sull’Iran rispetto a quella tipica dell’establishment della politica estera. Witkoff ha sottolineato quanto sia necessario il pragmatismo, la verifica [degli accordi], il rispetto reciproco e, soprattutto, evitare un conflitto. Le sue osservazioni riflettevano un approccio fondato su una chiara comprensione sia degli interessi americani che delle complesse dinamiche della regione”.

“Il problema è che molte delle voci più forti che plasmano la politica Usa rispetto all’Iran, dentro e fuori il governo, stanno lavorando attivamente per sabotare qualsiasi percorso realistico verso la diplomazia. Dicono di volere un ‘accordo’, ma ciò che in realtà chiedono è la resa dell’Iran: zero arricchimento dell’uranio, smantellamento del suo programma nucleare, taglio dei rapporti con tutti i suoi alleati regionali e cambiamento radicale della sua politica estera”.

“Nessun governo iraniano, pragmatico o intransigente che sia, potrebbe accettare tali termini. Persino Masoud Pezeshkian, il neoeletto presidente iraniano che ha basato il suo programma elettorale su una piattaforma votata alla diplomazia, non avrebbe spazio politico per accettare questo ultimatum”.

Siamo chiari: se si spinge su richieste così massimaliste con la scusa di volere un accordo, non si sta lavorando per la pace. Si stanno gettando le basi per la guerra“. Significativo in tal senso anche il titolo dell’articolo di McAdams citato: “Diego Garcia odora di guerra”.

Gli articoli di cui sopra non citano né Russia né Cina, se non per accennare ai loro rapporti di partenariato con l’Iran, ma è evidente che se Trump vuole davvero evitare questo scenario catastrofico deve fare sponda su di esse. In tale prospettiva non è isolato: benché abbia imbarcato nella sua amministrazione diversi neocon, ha al suo fianco figure meno inebriati dalle fumisterie belliche, basta ricordare un titolo del Times of Israel: “Vance: gli interessi degli Stati Uniti e di Israele non sempre coincideranno; non vogliamo la guerra con l’Iran”.

Oggi l’attenzione globale è giustamente centrata su Ucraina e Palestina, ma sottotraccia i fautori delle guerre infinite stanno lavorando a qualcosa che precipiterà il mondo ancor più nell’abisso. Come, all’opposto, si sta lavorando sottotraccia  per evitare tale sciagura. Significativo un cenno di Witkoff nell’intervista citata: il dialogo tra Stati Uniti e Iran proseguono attraverso “canali secondari, attraverso diversi Paesi e diversi canali”.

Vance: US and Israeli interests won’t always overlap; we don’t want war with Iran