22 Gennaio 2021

Iraq: le bombe Usa e quelle del Terrore

Iraq: le bombe Usa e quelle del Terrore
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Il mercato di Baghdad dopo l’attentato

Due attentati suicidi hanno fatto strage a Baghdad. Le vittime sono 32, oltre cento i feriti, in quello che è il più grave attentato terroristico da due anni a questa parte, secondo le fonti locali. A far strage, presumibilmente l’Isis o, del caso, al Qaeda, ambedue presenti nel Paese.

L’eccidio si accompagna a un avvenimento recente, cioè il bombardamento da parte delle forze americane della milizia filo-iraniana Kata’ib Hezbollah. Bombardamenti pesanti, che hanno fatto diverse vittime.

L’attentato e le bombe Usa

Gli Usa hanno negato la responsabilità degli attacchi, ma è l’unica aviazione che avrebbe potuto compiere il raid, a meno di non ipotizzare un attacco israeliano, che però ad oggi sembra limitarsi a imperversare sulla Siria, contro la quale negli ultimi giorni ha moltiplicato i bombardamenti (ieri uccisa anche un’intera famiglia, vedi nota a margine).

Delle responsabilità americane è convinto Hezbollah. Se abbiamo collegato l’attentato di ieri ai bombardamenti americani lo abbiamo fatto a pieno titolo, dato che le milizie Kata’ib Hezbollah sono i nemici più irriducibili delle agenzie terroristiche che operano in Iraq, riuscendo spesso a individuarne e debellarne le cellule residue.

Non solo, tali milizie sono ufficialmente parte dell’esercito iracheno e riconosciute come tali anche a livello formale. Così che bombardarle è come attaccare l’esercito di uno Stato sovrano. Destino bizzarro per una forza militare, quella Usa, inviata a “liberare” l’Iraq.

L’indebita presenza Usa in Iraq

Peraltro l’Iraq ha chiesto formalmente, con voto del Parlamento, all’esercito americano di ritornare in patria, lasciando il Paese “liberato”. Richiesta alla quale Washington ha resistito, convincendo parte delle forze politiche a opporsi alla risoluzione.

Secondo un comunicato di Hezbollah l’attentato di ieri a Baghdad sarebbe da collegarsi a un nuovo sviluppo in tal senso: l’opposizione al ritiro iniziava a barcollare (forse nella convinzione che la presidenza Biden avrebbe aperto nuove possibilità in tal senso).

Dato che l’esercito Usa era stato inviato a debellare l’Isis, il suo ritorno sulla scena darebbe nuova motivazione alla sua presenza.

Fonte di parte, Hezbollah, certo, ma le bombe americane non aiutano a guardare le cose in una diversa prospettiva.

E di certo alle Agenzie del Terrore serve la presenza americana, perché conferisce maggiore pubblicità alle loro azioni e perché sanno perfettamente che essa è foriera di caos, com’è evidente dal giorno dell’intervento in Iraq. E il caos è un brodo di coltura ideale per il Terrore.

Biden e la guerra in Iraq

La nuova presidenza Biden non può ritenersi responsabile del risveglio della conflittualità in Iraq, ché si è appena insediata. Sembra, piuttosto, che in questo momento di transizione alquanto tormentato per l’America qualcuno ne stia approfittando per agire.

Insieme, quanto sta avvenendo sembra un segnale per la nuova presidenza Biden, una sorta di benvenuto nel caos mediorientale, nel quale il nuovo presidente si appresta, almeno nelle intenzioni, a immettere una variabile virtuosa, cioè un nuovo accordo sul nucleare iraniano.

Biden, al tempo, votò a favore della guerra in Iraq. Un voto che Bernie Sanders gli ha rinfacciato durante la campagna elettorale, con queste parole: “Joe Biden ha votato e favorito l’impegno per condurre gli Usa in guerra con l’Iraq, l’errore di politica estera più pericoloso nella storia moderna di questo Paese”.

Biden ha più volte tentato di difendersi da tale accusa, con esiti non convincenti. E però sia tale strenua difesa sia il compromesso con Sanders, sul quale ha puntato per vincere, potrebbero portarlo a ripensare il rapporto con il tormentato paese mediorientale. Dubitarne è legittimo, sperarlo anche.

 

Nota a margine. Sull’escalation dei bombardamenti israeliani in Siria, appare significativo un titolo del Times of Israel: “Con l’Iran tenuto a freno dalle speranze suscitate da Biden, Israele coglie l’occasione per colpire duramente in Siria”.

Questo il sottotitolo: “Con gli Stati Uniti in transizione, l’IDF [Israel Defence Force, ndr.] ritiene che Teheran abbia meno probabilità di vendicarsi e sta mettendo fieno in cascina espandendo e intensificando la sua campagna aerea contro le forze iraniane oltre il confine”. 

In realtà, finora non si è registrata alcuna ritorsione iraniana per i raid in Siria, che hanno causato centinaia di morti, tra cui molti civili siriani. Ma resta vero il collegamento tra la transizione americana e la recrudescenza in oggetto.

Evidentemente il governo israeliano, prima frenato dall’amministrazione Trump, si sente più libero di colpire. Si spera che la nuova amministrazione  Usa, in combinato disposto con le forze virtuose sul campo (vedi Russia), sappia trovare un bandolo a questa matassa tanto ingarbugliata quanto intrisa di sangue.