Israele e il diritto internazionale: il cerchio si stringe
Netanyahu si è detto contrariato del rifiuto di Biden di sostenere il piano di “penalizzare il Tribunale penale internazionale” nonostante la crociata neocon contro di esso. La possibilità che venga spiccato un mandato di cattura internazionale contro il premier israeliano rafforza.
La guerra di Israele al Tribunale penale internazionale
La richiesta in tal senso, avanzata dalla procura del Tribunale penale internazionale, non è stata ancora accolta dai giudici del foro, ma la possibilità che si concretizzi tale sviluppo c’è.
Una possibilità incrementata dallo scoop del Guardian, esito di un’inchiesta condotta insieme ai siti investigativi israelo-palestinesi +972 Magazine e Local Call, che ha rivelato come l’allora capo del Mossad, Yossi Cohen, nel 2019 abbia minacciato più volte Fatou Bensouda, che al tempo guidava la procura del Tribunale penale internazionale, perché evitasse di indagare su possibili crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano.
Cohen, agendo come “inviato non ufficiale” dell’allora premier israeliano Netanyahu, avrebbe fatto presente al magistrato che la sua “sicurezza” e la “sicurezza dei suoi familiari” poteva essere a rischio. Dopo tale scoop – che potrebbe dar vita a sua volta a un’inchiesta per intimidazione – è più difficile che le pressioni esercitate sul Tribunale perché rigetti la richiesta di un mandato di arresto vadano a buon fine.
Lo spiega, in maniera implicita Gur Megiddo su Haaretz, che racconta come egli stesse rivelando la vicenda nel 2022, ma il suo articolo fu bloccato dall’intelligence israeliana. Nelle sue indagini, oltre alla vicenda di Cohen, avrebbe scoperto anche altro, che cioè lo Shin Bet, l’intelligence interna, e il servizio di informazione militare avrebbero intercettato il Tribunale per prendere visione del materiale inviato al foro dai palestinesi.
Sempre dal Guardian, l’ulteriore rivelazione, cioè che le minacce di Cohen sarebbero solo la punta di un iceberg, “solo una parte di un tentativo durato nove anni per dissuadere Bensouda e il suo successore Karim Khan dal perseguire i leader israeliani, un’azione iniziata nel 2015 e in corso ancora il mese scorso”…
Una valanga che potrebbe aprire le porte a un mandato di arresto contro Netanyahu e che potrebbe aiutare a spiegare la ritrosia di Biden ad andare contro il Tribunale in questione.
Il caso Netanyahu e la “Banalità del male”
Sempre su Haaretz, un significativo articolo di Robert Zaretsky su Hannah Arendt e il suo impegno per dar vita a un Tribunale penale internazionale. Non una mera curiosità anche considerando che la riprovazione suscitata in Israele e nella diaspora dalla richiesta di un mandato di cattura internazionale contro Netanyahu ricorda, secondo Zaretsky, “la tempesta di polemiche che seguì la pubblicazione, nel 1963, di Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil”, in italiano La banalità del male, della Arendt.
Così Zaretsky: “Due concetti utilizzati da Arendt – complicità e banalità – si sono rivelati particolarmente incendiari. È con il primo termine che la Arendt accusò i Judenräte, i consigli ebraici subordinati ai nazisti, di aver favorito la catastrofe che colpì gli ebrei europei. Sebbene la Arendt fosse spesso dura e assertiva nei confronti di tali consigli, aveva anche per lo più ragione riguardo alle conseguenze della loro collaborazione con i funzionari nazisti”.
“Quanto alla banalità, raramente una parola ha suscitato tanta indignazione e incomprensione. La Arendt usò il termine, che compare una sola volta nel libro, per sottolineare l’inconsistenza di Eichmann, la sua totale incapacità di vedere il mondo dalla prospettiva di un altro. È stata questa qualità insignificante che gli ha permesso di commettere i suoi crimini indicibili”.
Zaretsky mette l’accento proprio quest’ultima caratteristica del male, che è l’incapacità di accogliere la “pluralità”, di accettare la “diversità”, concetti ribaditi più volte dalla Arendt, che non hanno “nulla a che fare con il suo significato attuale: l’identificazione con uno specifico gruppo etnico, linguistico o religioso. In realtà, significa esattamente l’opposto: le differenze profonde e vitali che esistono non solo tra i gruppi, ma tra ognuno di noi. La pluralità umana implica che siamo tutti pienamente uguali e pienamente unici”. E che non si può accettare “quanti tentano di sradicare la nostra umanità condivisa e plurale”.
Hannah Arendt e il Tribunale penale internazionale
“Il male radicale incarnato dalla Germania nazista – ‘rendere superflui gli esseri umani in quanto tali’, spiegò al suo mentore e amico Karl Jaspers – richiedeva la creazione di una nuova categoria giuridica: i crimini contro l’umanità. Con questo termine, che usò in modo intercambiabile con ‘genocidio’, la Arendt non intendeva una legge specifica, era piuttosto un termine generico che copriva tutti i crimini internazionali. Il foro adeguato per trattare tali casi, affermò, è un tribunale penale internazionale”.
A distanza di anni, la sua prospettiva si è avverata e tale foro ora è chiamato a decidere su quanto commesso da Israele dopo il 7 ottobre, una reazione che ha debordato dagli argini posti dal diritto internazionale. Rimandiamo al complesso articolo di Zaretsky per gli approfondimenti, in questa sede basta sottolineare che non è affatto usuale una simile lode della Arendt su un media israeliano, né è usuale ricordare il ruolo, marginale o meno che sia (tema delicato e complesso), che ebbero i Judenräte nella sanguinaria follia nazista.
Chiudiamo citando un articolo odierno del New York Times, dedicato a un’altra spada di Damocle che incombe su Israele, l’ordine della Corte di Giustizia internazionale – la cui competenza è limitata al solo genocidio – di fermare “immediatamente” la sua “attuale” offensiva su Gaza. Un articolo ben documentato, nel quale Amanda Taub interpella molti esperti di diritto internazionale.
La loro opinione è condensata nel sottotitolo: “C’è un sostanziale consenso tra gli esperti di diritto sul fatto che Israele non può continuare la sua attuale offensiva a Rafah senza violare l’ordine della Corte“. Cioè, come ha detto Michael Becker, professore di diritto al Trinity College di Dublino: “L’offensiva militare a Rafah deve essere fermata, punto”.
Tutte queste rivelazioni e valutazioni, una valanga, segnalano che importanti ambiti internazionali si stanno muovendo. Netanyahu e i suoi sostenitori possono continuare a sfidare il mondo intero, ma stanno trovando una resistenza che certo non si aspettavano.
Nella grafica di apertura Hannah Arendt e Benjamin Netanyahu, Haaretz