Israele e la Zona di interesse
Entro alcune settimane “le forze di difesa israeliane completeranno la loro azione offensiva a Rafah, in linea con le restrizioni americane [sic] e lungi dall’infliggere una sconfitta totale ad Hamas, e vorranno dichiarare la fine” della guerra, almeno nella forma attuale, così da “ritirarsi da Gaza”.
Così inizia un articolo di Amos Harel su Haaretz, che aggiunge, però, che “Netanyahu ha altre idee”, dovendo alimentare la sua “guerra infinita” nella speranza di prolungarla almeno fino a novembre, cioè alle elezioni americane, dalle quali spera che esca vincente un candidato a lui più favorevole.
Zona di interesse
La frizione tra esercito e governo è ormai palese, come da annotazioni di Harel, ma solo il tempo dirà se porterà nuove. Ad oggi, anche l’ultimo tentativo di riportare alla ragione Netanyahu, esperito dalla Casa Bianca, è acqua passata. Biden e i pochi che l’hanno aiutato hanno ormai ammainato bandiera.
Così la macelleria continua, nulla importando dei circa 50mila palestinesi presumibilmente uccisi (sommatoria degli oltre 37mila morti ufficiali e dei 10mila che si stima siano ancora sotto le macerie) di cui almeno 15mila sono bambini.
Una macelleria che non viene raccontata dai media mainstream israeliani, come annota David Issacharoff su Haaretz, che, sulla scia di un meme che ieri è diventato virale, si domanda se Israele sia diventata una “grande Zona di interesse”.
La “Zona di interesse”, ricorda il cronista, è un “termine tedesco usato dai nazisti per identificare le sei miglia quadrate intorno ad Auschwitz, dove vivevano e lavoravano gli ufficiali delle SS”, la cui disumanità è stata portata alla ribalta dal regista ebreo Jonathan Glazer nell’omonimo film premiato quest’anno con l’Oscar.
Film che racconta l’agiata e tranquilla vita di una famiglia che viveva a ridosso del campo di sterminio, al quale il capo famiglia dedicava le sue cure, nulla importando del fastidioso fumo dei forni crematori, dei pianti e dei lamenti che provenivano da oltre il muro.
Fu lo stesso Glazer a dire, al momento della consegna del premio, che la sua pellicola non voleva raccontare solo un tragico passato, ma parlare di quanto sta avvenendo oggi, cioè dell’indifferenza che accompagna il massacro dei palestinesi.
Girasoli e macerie
E la Zona di interesse è tornata alla ribalta ieri, a commento di una foto virale di un campo di girasoli fiorito in terra di Israele sullo sfondo delle macerie di Gaza. Commento sul quale si interpella, appunto, Issacharoff nella sua nota.
Non indimenticabile il suo scritto, ma comunque racconta di come la tragedia di Gaza non sia raccontata dai media mainstream israeliani, mentre lo è sui media della destra, nei quali è addirittura esaltata.
Nonostante ciò, annota Issacharoff, resta che tanti dei residenti dei kibbuz presi d’assalto il 7 ottobre erano dediti ad alleviare le sofferenze dei palestinesi rinchiusi nella vicina Gaza.
Issacharoff racconta le storia di alcuni di loro, per dire che quei poveretti – molti dei quali sono stati uccisi o presi prigionieri in quel terribile giorno – quanto avveniva oltre il muro importava, eccome. Non si può che dargli ragione sul punto, né si può mancare di rendere dovuto omaggio a figure che hanno incarnato l’anima “compassionevole” degli ebrei israeliani.
Ma la domanda posta da Issacharoff resta, come resta la terribile risposta rispetto a tanti altri cittadini israeliani, che certo non potranno vedere i bambini palestinesi maciullati o denutriti o assetati sui media mainstream, ma hanno accesso a internet come e più di tanti al mondo. E sul web quella sofferenza è raccontata, eccome, per chi voglia vederla. Ed è insostenibile.
Avvertimenti ignorati e “direttiva Annibale”.
Quanto a quel 7 ottobre, che ha devastato tanti destini nel Sud di Israele, continuano a emergere nuove che alimentano i già tanti interrogativi. Ai tanti avvertimenti ignorati sull’imminente attacco, si somma l’ultimo, rivelato dal Timesofisrael, il quale riferisce di come, quattro giorni prima dell’attacco, le forze che vigilavano su Gaza avessero avvertito i propri superiori che Hamas aveva condotto un’esercitazione del tutto anomala quanto allarmante…
Il mistero su quel che è avvenuto quel giorno riguarda anche le vittime dell’attacco. A tale proposito, a luglio dovrebbe essere reso di pubblico dominio l’esito di un’inchiesta svolta dall’esercito israeliano.
Riportiamo da Antiwar: “Secondo il media israeliano Channel 12 News, il rapporto dell’IDF che sarà pubblicato a metà luglio ha rilevato che ‘molte delle vittime sono state causate dal fuoco delle nostre forze contro i nostri stessi civili’. Tel Aviv è stata accusata di aver ordinato ai suoi soldati di uccidere gli ostaggi piuttosto che permettere ad Hamas di usarli per negoziare, una politica nota da tempo come la ‘Direttiva Annibale‘”.
“L’inchiesta dell’IDF sul 7 ottobre sembra evidenziare l’incompetenza piuttosto che l’uccisione intenzionale dei suoi stessi civili. Tuttavia, l’indagine del quotidiano israeliano Ynet sulla condotta dell’IDF di quel giorno ha scoperto che Tel Aviv aveva ordinato alle truppe di mettere in pratica la direttiva Annibale”.
Si sa di certo che 14 civili sono stati uccisi in questo modo. Inequivocabile, infatti, il filmato del carro armato che spara contro una casa del kibbuz Be’eri, dove erano asserragliati alcuni miliziani di Hamas con 14 ostaggi. Un episodio agghiacciante che era stato raccontato, peraltro, da due sopravvissuti. Come si sa, lo ha raccontato la fidanzata, che Ofek Atun, un ragazzo sfuggito al massacro del rave, è stato successivamente ucciso per errore dalle forza israeliane.
L’anticipazione di Channel 12 parla di decine di civili morti in questo modo. Resta, però, che Israele non ha alcun interesse a pubblicizzare né l’applicazione della direttiva Annibale né l’uccisione di civili da parte dei suoi soldati.
Peraltro, i 1200 israeliani uccisi da Hamas fanno ormai parte della narrazione sottesa all’attuale conflitto. Faranno di tutto per occultare e circoscrivere, inutile attendersi novità di rilievo. Sempre che la pubblicazione del rapporto non sia rimandata a fine guerra.
A margine, ma che margine non è, va annotato che anche l’Armenia si è unita ai Paesi che riconoscono lo Stato della Palestina. Adesione più significativa perché il popolo armeno ha conosciuto il genocidio, crimine che potrebbe essere ascritto anche a Israele dall’Alta Corte di giustizia internazionale. Tel Aviv si è irritata, come se il riconoscimento costituisse un crimine e non la semplice adesione a quanto deciso dall’Onu al momento della nascita di Israele.