Israele: la liberazione di quattro ostaggi e le dimissioni di Gantz
Gli ultimi tre giorni sono stati cruciali per la mattanza di Gaza e, insieme, rivelatori. Avvenimenti che suscitano domande e perplessità. Tre giorni tra i più mortali della macelleria della Striscia, che si intrecciano con gli interna corporis del potere israeliano e riecheggiano al di là dell’oceano.
8 giugno: il giorno fatidico
Alcuni giorni fa, Benny Gantz aveva annunciato che l’8 giugno si sarebbe dimesso dal governo, se Netanyahu non avesse accolto i suggerimenti Usa per una tregua duratura con Hamas in cambio della liberazione degli ostaggi e sulla prospettiva di un dopoguerra che escluda l’occupazione della Striscia da parte di Tel Aviv. Suggerimenti condensati nel “piano” Biden, identificato come “piano israeliano”, annunciato il 31 maggio.
L’annuncio di Gantz era il culmine di un lungo conflitto con il premier israeliano e, allo stesso tempo, era il momento di svolta a lungo atteso dai tanti critici del premier e della sua guerra infinita, all’interno di Israele e fuori.
Così l’8 giugno si annunciava come una data fatidica. Tanto cruciale che la Casa Bianca, il giorno prima, annunciava che il Segretario di Stato Tony Blinken sarebbe sbarcato tre giorni dopo in Medio oriente, per una visita che aveva lo scopo di vincere le ultime resistenze di Netanyahu, che nonostante l’avversione al piano non aveva potuto alzare l’usuale fuoco di sbarramento.
Ma l’8 giugno, il colpo di scena: Israele riesce a ottenere il suo più grande successo da quando è iniziata la guerra, riuscendo a liberare addirittura quattro ostaggi, mentre finora aveva riportato in patria, purtroppo, per lo più solo cadaveri (rivendicando il recupero degli ostaggi uccisi dalle loro stesse bombe come un successo).
Un successo che ha contraddetto in maniera clamorosa le obiezioni di Gantz e rilanciato con forza Netanyahu, che ha potuto brandire di fronte al mondo l’efficacia della sua linea di una guerra capace di ridare la libertà ai prigionieri, fino a quel momento smentita dai fatti.
Tutto ciò, nulla importando che per liberare quattro ostaggi siano stati uccisi o feriti circa 1.000 palestinesi, 274 i morti e 698 i feriti, molti dei quali bambini, e che diversi di questi feriti periranno a causa della mancanza di strutture sanitarie. Ma è un cinismo ormai usuale nei conflitti tra Israele e Palestina, che si associa a quello che vede la responsabilità dell’eccidio ricadere su Hamas, che ha la colpa di celarsi tra i civili.
A parte il cinismo ricorrente di cui sopra, e il fatto che l’eccidio servisse a complicare un accordo con Hamas, uno degli aspetti sorprendenti di quanto accaduto è che non si sia tenuto in nessun conto il fatto che altri tre ostaggi, detenuti nella stessa area, potrebbero essere stati uccisi nel blitz.
A rivelare la morte di tre ostaggi è stato Hamas, rivelazione poi smentita da Israele, che in seguito l’ha liquidata, tramite una confidenza fatta da suoi funzionari al New York Times, come del tutto secondaria anche se fosse vera.
Se vera, infatti, sarebbero stati uccisi i loro carcerieri, ai quali sarebbe stato dato l’ordine di assassinare i detenuti in caso di blitz. Al di là della veridicità o meno della confidenza (abbiamo motivo di dubitare), la sostanza non cambia: un blitz nel quale si perde quasi metà degli ostaggi è un fallimento. Invece, senza nessuna verifica di quanto realmente accaduto, quello dell’8 giugno è stato fatto passare come un successo straordinario…
Al di là, resta appunto che il blitz ha depotenziato la portata esplosiva delle dimissioni di Gantz (seguite a ruota da quelle dai membri del suo partito).Tanto che ha dovuto posticipare la data le dimissioni. Come sia stato possibile che in quel fatidico 8 giugno le forze israeliane siano riuscite in un’impresa che non ha precedenti in questa guerra che dura tempo, resta un mistero.
Il piano Biden ancora valido, ma…
La pressione su Netanyahu, però, continua. Blinken, in Medio Oriente, sta tentando ugualmente di portare a casa un accordo, sul quale Hamas ha dimostrato aperture. E resta da capire la posizione del ministro della Difesa Yoav Gallant e quella dei partiti Haredi più tradizionali, incognite che potrebbero porre rischi alla tenuta del governo.
Le dimissioni di Gallant, da tempo in rotta con Netanyahu, sono state chiaramente sollecitate da Gantz, il quale, dopo aver affermato che occorre fare “di tutto” per liberare gli ostaggi – anche accordarsi con Hamas – gli ha detto chiaramente che adesso, oltre a dire cose giuste, urge “fare ciò che è giusto” (Times of Israel). Ma Gallant nicchia.
Quanto ai due partiti Haredi che sostengono il governo, in precedenza avevano preso le distanze dai partiti ultra-ortodossi più estremi (guidati da Smotrich e Ben Gvir), accogliendo con favore la proposta americana (o israeliana che dir si voglia) di tregua.
Così la contesa sull’accordo con Hamas ha preso la forma di un diverbio religioso tra ebrei ultra-ortodossi (su Haaretz, lo scritto di un rabbino che spiega perché i due partiti più tradizionali avevano ragione). Ma è da vedere se tale posizione sarà mantenuta e se, anche in tal caso, possa portare a una rottura con Netanyahu, al quale gli Haredi sono legati da vincoli stringenti.
Resta, quindi, qualche barlume di speranza, alimentato da quanto si legge su Haaretz: “Nonostante il successo dell’operazione di salvataggio, è opinione comune dei funzionari della difesa israeliani che l’accordo è il modo migliore per restituire alla libertà gli ostaggi rimanenti”.
Nell’articolo, a firma Amos Harel, si annota come, subito dopo il blitz, Ben Gvir abbia diffuso un comunicato nel quale ribadiva che l’unico modo per liberare gli ostaggi è la pressione militare. Ma, annota Harel, “le persone che in realtà hanno coordinato [il blitz] la pensano in modo molto diverso. Molti di loro hanno deciso di chiarire, tra sabato e domenica, che, a loro avviso, non sarà possibile riportare [in patria] tutti i restanti 120 ostaggi (di cui circa metà sembra siano morti) in modo analogo”.
In queste ore, alla knesset è in discussione il progetto di legge sulla leva militare voluto dal governo, che permette agli ultraortodossi di eludere la coscrizione. Una legge molto controversa, che potrebbe portare a rotture anche all’interno del Likud. In particolare è da vedere cosa deciderà Gallant, che ne era critico.
Nonostante tutto, per Washington il piano Biden resta valido. E, sul punto, c’è una convergenza con parte dell’establishment del partito repubblicano. Esemplare, in tal senso, l’editoriale del Washington Post dal titolo: “Quattro ostaggi israeliani sono finalmente liberi. Ora è necessario che i colloqui di pace prendano piede”. Speranze al lumicino, ma restano.