Israele: Netanyahu non riesce a fare il governo. Endgame
Tempo di lettura: 3 minutiNetanyahu non riesce a fare un governo ed è costretto a gettare la spugna. Israele va a nuove elezioni, a settembre.
Quando crollarono le Torri gemelle, il fragore della catastrofe si sentì in tutto il mondo. Lo stordì. Lo traumatizzò. Nacque il mantra: “Nulla sarà più come prima”.
Il crollo avvenuto ieri in Israele non è stato avvertito in tutto il mondo, ma quel mantra è tornato a riecheggiare in tanti ambiti. Perché ieri è caduta, e sembra definitivamente, una delle figure centrali della geopolitica globale. E nulla sarà più come prima.
Veti incrociati
Il premier israeliano ha ancora dalla sua immani riserve di energia e grandi capacità, ma i media israeliani sono unanimi nel decretarne la fine politica.
Non solo perché aveva vinto le elezioni e non è riuscito a creare un governo a causa dei riottosi alleati, ma anche per le modalità con le quali ha tentato di venire a capo di un rebus impazzito.
A farlo cadere, formalmente, l’irriducibile distanza tra i partiti ultraortodossi e quello di Avigdor Lieberman, destinati ad appoggiare il suo governo.
I primi chiedono che ai propri fedeli sia prolungata l’esenzione dal servizio militare, mentre il leader di Yisrael Beiteinu ha puntato tutto il suo destino politico – come ministro della Difesa e nella campagna elettorale – proprio sull’abolizione di tale franchigia.
Un conflitto annoso quello dell’esenzione, che ha visto anche scontri tra ultraordossi e forze dell’ordine. Ma soprattutto ha posto distanze tra i movimenti religiosi e i vertici dell’esercito israeliano, che vedono in tale deroga un privilegio indebito, ma anche un sintomo di una eccessiva predominanza degli ambiti religiosi nello Stato.
Conflitto ad oggi ancora aperto, come ha potuto constatare il premier, che ha cercato invano un’impossibile ricomposizione.
Giro di poker
Netanyahu le ha provate davvero tutte, fino ad arrivare a offrire ai laburisti un’alleanza di governo. Lui che per tutta la campagna elettorale aveva accusato il suo principale rivale, il centrista Benny Gantz, di essere un criptolaburista.
Così, quando si è sparsa la voce dell’improvvisa apertura a sinistra di Netanyahu, si è capito che tutto era precipitato.
Vana anche l’ultima carta, ancora più disperata. Il Likud avrebbe proposto un governo senza Yisrael Beiteinu, ovvero con una non-maggioranza, dato che nella Knesset avrebbe potuto contare su 60 seggi su un totale di 120. Idea bocciata da uno dei partiti di destra, Kulanu, che ha negato il suo appoggio alle soluzione (Timesofisrael).
Raccontiamo tali dettagli non certo per infierire sul premier israeliano, che ha dimostrato ancora una volta la sua tempra di combattente, quanto per riprendere quel che avevamo scritto subito dopo le elezioni israeliane.
Quando tutti i media italiani, e non solo, registravano l’ennesima vittoria di Netanyahu, inneggiando al mago della politica israeliana, sommessamente scrivevamo che sì, aveva vinto, ma non stravinto. E che Yisrael Beiteinu e Kulanu avrebbero complicato la sua avventura.
E chiudevamo così: “Anche nel poker, il suo gioco preferito in politica, i punteggi alti possono non bastare a vincere il piatto”.
L’era Netanyahu
Ma resta il presente, di un gigante della politica sconfitto. Haaretz scriveva che nell’ultima settimana aveva perso il sonno, che chiamava nel cuore della notte i vari leader politici per offrire posti e incarichi, mediare, cercare compromessi.
Perché si stava giocando tutto. Voleva una legge che lo mettesse al riparo dalle inchieste della magistratura. Non l’ha avuta, con tutto ciò che consegue. Nella sua lunga carriera si è fatto troppi nemici. Ora rischia.
Conseguenze anche per il mondo, se si pensa ad esempio alla nota che abbiamo pubblicato ieri – tempistica non casuale – su Bolton e Trump (Piccolenote).
In questa l’aneddoto del New York Times sull’implicita richiesta del presidente americano a Sheldon Adelson, grande sponsor di Bolton, su un possibile allontanamento del Consigliere per la sicurezza nazionale dalla sua amministrazione. Richiesta respinta.
Sugli intimi rapporti tra Adelson e Netanyahu rimandiamo a un articolo di Haaretz.
Va anche notato che l’amministrazione Usa ha scelto questi giorni per lanciare il Piano di pace israelo-palestinese redatto da Jared Kushner e rigettato dai palestinesi – ai quali è negato uno Stato – e da tanti Paesi (dall’Europa alla Russia).
Il lancio del Piano doveva coincidere con l’inizio del mandato di Netanyahu. Così titola un articolo di Haaretz: “La terribile tempistica di Kushner: la crisi politica di Netanyahu potrebbe uccidere il piano di pace di Trump”.
La lunga parabola politica di Netanyahu ha innescato dinamiche globali, accompagnato processi, creato prospettive. La sua conclusione, in tempi e modi da vedere, avrà ripercussioni globali.