Israele e la sindrome della nazione umiliata e offesa
Di interesse un articolo di Haaretz a firma di Rogel Alpher, che segnala come in Israele la creazione di uno Stato palestinese sia vissuto come un premio al terrorismo. E sul punto cita l’esempio dell’Algeria, la cui insurrezione cruenta al feroce colonialismo era considerata dai francesi alla stregua del terrorismo moderno.
Come allora, anche il colonialismo israeliano, prima del 7 ottobre, era vissuto come parte della normalità, sia all’interno che a livello internazionale. Anzi, negli ultimi tempi, la questione palestinese era ormai sparita dai radar, come anche “l’occupazione, l’apartheid e il sostegno dell’esercito ai coloni, una questione marginale che poteva essere rinviata per sempre”.
Il 7 ottobre e la lunga occupazione israeliana
“E poi, meraviglia delle meraviglie, Hamas ha commesso un orrendo massacro e all’improvviso gli Stati Uniti, l’Europa e l’Arabia Saudita non possono più discutere d’altro con Israele. Chiedono uno Stato palestinese”.
“Questa richiesta testimonia la loro convinzione che l’assenza di uno Stato palestinese sia stato uno dei fattori che ha portato al massacro [del 7 ottobre] e che la creazione di un tale Stato impedirà il successivo” [in realtà, è soprattutto una reazione alla mattanza di Gaza, ma il rilievo resta intelligente e ha un suo fondamento ndr.]
“Ciò è molto spiacevole per le orecchie israeliane. Infastidisce anche gli elettori di Meretz, Gantz e Lapid [cioè di centrosinistra ndr], perché crea l’impressione che la società israeliana comprenda solo la forza. Inoltre, ciò implica che la società israeliana sia così compatta che perfino l’applicazione della forza brutale non può liberarla dalla sua fissazione. Così il mondo è costretto a intervenire e a imporre un accordo a Israele per salvarlo da se stesso”.
“Quindi, da qualche parte nell’accelerato dibattito internazionale sullo Stato palestinese, si trova l’argomentazione inequivocabile secondo cui [Israele] è corresponsabile della tragedia che ha raggiunto il culmine nel massacro. Ma gli israeliani, guidati dal loro primo ministro, soffrono di una serie di sindromi, a cominciare dalla disumanizzazione dei palestinesi e da quella che potrebbe essere definita ‘sindrome di Versailles’”.
La sindrome di Versailles
“Come i tedeschi dopo la prima guerra mondiale, Israele non è disposto ad accettare la sua parte di responsabilità nella guerra regionale che infuria in Medio Oriente e che rischia di estendersi al di là di esso”.
“I portavoce della destra, leadership e giornalisti, parlano degli Accordi di Oslo come del Trattato di Versailles: un’amara umiliazione nazionale. Il ritiro [da Gaza ndr] è un’altra Versailles. Un’altra amara umiliazione. E ora arriva la grande Versailles: ‘il diktat internazionale’. Lo status umiliante che vede le potenze straniere imporre a Israele condizioni di resa al terrorismo”.
“E, come la Germania tra le due guerre, abbiamo a che fare con l’onore nazionale calpestato di un popolo orgoglioso, che sente di non aver ricevuto il posto che gli spetta tra le nazioni del mondo”.
“La sindrome di Versailles determina anche l’atteggiamento della destra nei confronti dello scambio degli ostaggi: è un’umiliazione nazionale. Come derivato della sindrome di Versailles, la società israeliana ora vuole aumentare il bilancio della difesa e dell’esercito, armarsi fino ai denti e trasformarsi in un mostro militare. La creazione di uno Stato palestinese rischia di radicalizzare Israele portandolo nel regno della follia”.
Israele, la Corea del Nord del Medio Oriente
Articolo di stretta attualità, dal momento che la knesset, il parlamento israeliano, ha votato quasi all’unanimità contro la nascita di uno Stato palestinese. E di grande coraggio: è storia che la frustrazione di Versailles fu uno dei fattori fondanti il mostro nazista, qui solo evocato come rischio di prospettiva.
Purtroppo, però, il lavorio per la nascita di uno Stato palestinese da parte dell’America al momento è solo cortina fumogena, quando in parallelo impedisce il cessate il fuoco a Gaza con ripetuti veti all’Onu, invia carichi di bombe a Israele e ne difende in tutte le sedi la campagna militare, ormai giudicata insostenibile anche da quasi tutti i Paesi occidentali.
Resta l’interesse per l’articolo, anche perché sottolinea la totale chiusura della leadership e di gran parte della società israeliana alle sollecitazioni del mondo. Posizione stigmatizzata anche da Gideon Levy, che la racconta come un tragico capriccio fanciullesco, per cui “se chiudiamo gli occhi, non ci vedranno. Se ignoriamo L’Aia, l’Aia scomparirà” (Haaretz). Più incisivo Uri Misgav, che annota: “Isolato, chiuso, militarista e più sconvolto che mai, Israele sta diventando la Corea del Nord del Medio Oriente” (Haaretz).