Kissinger: è necessario parlare con Assad
Tempo di lettura: 3 minutiParlare con Assad: questo il consiglio che Henry Kissinger suggerisce agli Stati Uniti, che di recente hanno emanato nuove, durissime, sanzioni contro la Siria. L’autorevole opinione del grande vecchio della politica Usa è riferita nell’ultimo libro di James Sebenius, “Kissinger the Negotiator“.
Ne riferisce il National Interest, spiegando che tanti presidenti americani, da Nixon a Reagan, nonostante avessero una forte avversione per Damasco, hanno negoziato con essa.
Kissinger, la Siria e la stabilità del Medio Oriente
E ciò perché “Damasco, nonostante fosse sempre dalla parte opposta degli Stati Uniti, ha eliminato le principali minacce del Levante e del Golfo Persico negli ultimi cinquant’anni” (il riferimento anche al ruolo avuto nella lotta contro l’Isis è implicito, ma non per questo poco rilevante).
Così le recenti, durissime sanzioni (Caesar act) emanate contro la Siria non possono che apparire nefaste agli occhi dei cronisti del NI, che annotano: “Il Financial Times, che ha seguito in maniera approfondita il crollo economico della Siria, ha scritto che il Caesar Act non avrà alcun impatto significativo su Assad o sul governo, ma accrescerà la miseria dei siriani comuni”.
Non solo Kissinger, anche “Zbigniew Brzezinski e Brent Scowcroft”, che per oltre quarant’anni sono stati un punto di riferimento della Sicurezza nazionale americana, “nel 2015 hanno avvertito che non aveva senso combattere Assad, mentre negoziare con lui e non isolarlo era l’unico modo di porre fine allo spargimento di sangue”.
Tale la follia della guerra siriana, che ha portato gli Stati Uniti a sostenere un conflitto terribile, costato centinaia di migliaia di morti, per non parlare delle innumerevoli vittime indirette, dei mutilati, dei milioni costretti a lasciare il Paese, della miseria dilagante cui è preda la Siria.
E tutto per cambiare un governo che, invece, a detta anche di eminenti figure della Sicurezza americana, è stato ed è una pedina indispensabile per la stabilità e la sicurezza della regione (a profitto anche degli Stati Uniti).
L’aggressività turca cambia gli scenari
Se il National Interest ha potuto finalmente mettere a nudo il macroscopico errore degli Stati Uniti è anche perché di recente nel magmatico Medio oriente, da anni bloccato nel conflitto tra sciiti e sunniti, qualcosa si è mosso.
Ne accenna sempre il NI, riferendo come l’autorevole sito filo-saudita Arab News abbia pubblicato una nota nella quale si spiega che per Riad ora il problema è la Turchia piuttosto che l’Iran, alleato di Damasco.
Quella Turchia che gli Usa hanno appoggiato in tutto e per tutto nelle sue operazioni in Siria (tranne quando contrastavano con i suoi interessi nel Paese, vedi alla voce petrolio) e che ora ha lanciato un’aperta sfida contro Riad, altro alleato Usa.
Ne abbiamo accennato anche in una nota pregressa, nella quale riferivamo come il presidente turco Recep Erdogan avesse chiesto a Russia e Iran di sostenerlo nella lotta contro i sauditi, ricevendo un cortese diniego.
La mediazione irachena
Non si tratta solo di analisi giornalistiche, ma anche di novità geopolitiche: il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif in questi giorni si è recato a Baghdad. È la prima visita di un diplomatico di Teheran in Iraq dopo l’uccisione del generale iraniano Soleimani (consumata a Baghdad).
La visita è servita a rinsaldare il rapporto tra i due Paesi e a tentare di sedare la conflittualità permanente tra le truppe di occupazione americane (e loro affiliati) e le milizie sciite irachene, “sempre più difficili da controllare in assenza di Soleimani e del leader della milizia iraniana [in Iraq, ndr.] Abu Mahdi al-Muhandis, anch’egli ucciso nel raid che ha assassinato Soleimani”.
Annotazione, quest’ultima, del giornale israeliano Yedioth Ahronoth, che mette in evidenza ancor più la follia di quel barbaro eccidio. Ma l’aspetto più importante della visita di Zarif è la sua cronologia, dato che si è svolta poco prima che il premier iracheno, Moustafa al-Kazimi, col quale si è incontrato Zarif, partisse alla volta di Riad.
Evidente, che Kazimi nell’occasione dovesse svolgere un ruolo di mediatore tra i due grandi contendenti regionali, Teheran e Riad, come peraltro confermato anche da un cenno di YA: “Sia gli Stati Uniti che l’Arabia Saudita accettano che l’Iraq svolga il ruolo di intermediario, ha affermato Hisham Daoud, consigliere del premier”.
Purtroppo, il viaggio del premier iracheno, che poteva aprire opportunità per la distensione regionale, è saltato a causa di un malore improvviso del re saudita Salman, ricoverato d’urgenza in ospedale. Capita anche questo nel nevralgico, terribile, Medio oriente.