La banca mondiale cinese preoccupa gli Usa
Tempo di lettura: 2 minuti«Per oltre 70 anni il mondo è vissuto nel sistema di Bretton Woods: un ordine monetario americano-centrico, fondato su sua maestà il dollaro. Due istituzioni sono le guardiane di quell’ordine: il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale, ambedue con sede a Washington. Per la prima volta in questi 70 anni, l’America vede spuntare una sfida all’orizzonte. E la prende molto sul serio. La sfida viene dalla Cina, si chiama Asian Infrastructure Investment Bank»
. Così inizia un articolo di Federico Rampini sulla Repubblica del 16 marzo dedicato alla nascita di una nuova banca globale, che ha nel Dragone il suo punto di riferimento e ha in cassa, come capitale iniziale, 50 miliardi di dollari.
Altre volte, accenna Rampini, erano nate creature simili e sono morte, ma stavolta la presenza della Cina è una garanzia di solidità, tanto che hanno aderito all’iniziativa, suscitando l’irritazione degli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia e l’Australia.
(Titolo dell’articolo: L’Europa apre a Pechino sì alla sua banca mondiale protestano gli Stati Uniti).
Nota a margine. Sapremo solo in un prossimo futuro se la nascita di questo nuovo colosso finanziario rappresenta una svolta reale verso la de-dollarizzazione del mondo, ma certo lo smacco per gli Usa è grande, anche per il “tradimento” subito da Paesi che considera più che alleati.
D’altronde i soldi, quelli veri non quelli virtuali che ingrossano le pance delle banche occidentali, oggi sono in Oriente, e precisamente in Cina. E le esauste economie europee ne hanno maledettamente bisogno per uscire da una crisi creata proprio dai soldi virtuali.