La Corte penale internazionale, il Golem Usa e Israele
Netanyahu ha reagito come al solito alla richiesta di un mandato di arresto della Corte penale internazionale, cioè accusando i magistrati di antisemitismo. Riflesso condizionato dell’uomo politico che sussume su di sé il ruolo di vittima dell’odio del mondo contro gli ebrei, personalizzando in maniera esecranda la narrativa della nazione vittima propria di Israele, per farne un suo punto di forza all’interno della società e dello Stato (vedi anche Haaretz. “I promotori dell’Olocausto fanno di Israele una vittima perpetua”).
Le richieste di arresto per Netanyahu e Gallant della Corte
Attorno al premier si sono strette le più autorevoli personalità israeliane, tra cui il presidente Isaac Herzog, a conferma che quanto sta facendo a Gaza gode di ampio supporto, che resta insindacabile. Il premier, insomma, non è solo il rompighiaccio che sta aprendo a Israele nuove frontiere, ma anche un utile scudo dietro il quale ripararsi per preservare la propria immagine.
Detto questo, la richiesta di arresto, che deve essere approvata dal Tribunale, cala come una mannaia su Israele, almeno al momento, ma presenta anche criticità.
Al di là di quanto accadrà, la Procura internazionale ha già emesso un verdetto, incancellabile: avendo chiesto l’arresto del premier e del ministro della Difesa Yoav Gallant insieme a quello di tre dirigenti di Hamas, li ha messi sullo stesso piano. Così Anshel Pfeffer su Haaretz: “Grazie a Netanyahu, l’equivalenza posta dalla Corte penale internazionale tra Israele e Hamas diventerà globale”.
Andando nello specifico, se la richiesta di un mandato di arresto per Netanyahu appare sacrosanta, nel senso più letterale della parola, quella per Gallant, sebbene appaia anch’essa più che giustificata, pone una seria criticità.
Infatti, mentre non aggiunge granché alla gravità dell’iniziativa, all’opposto unisce i destini dei due uomini politici, proprio in un momento in cui si stavano dividendo – di alcuni giorni fa la dura presa di posizione di Gallant contro il premier – e quando i guerrafondai moderati del mondo puntavano su di lui per uscire dalla disastrosa guerra infinita di Netanyahu.
Gallant, infatti, ad oggi appare l’unico che può far cadere il governo, avendo il potenziale di portare con sé una parte del Likud, strappandola alla presa totale di Netanyahu sul partito.
Infatti, l’eventuale fuoriuscita del partito di Gantz dalla coalizione di governo – possibile dopo che questi ha minacciato di abbandonarlo se entro l’8 giugno non sarà elaborato un piano per la Gaza post guerra – non cambierà molto. Netanyahu ha i numeri per proseguire il mandato.
Non solo, la disfida di Gallant a Netanyahu si fonda sull’ambizione del primo di succedere all’attuale premier. Un mandato di cattura internazionale potrebbe precludergli tale possibilità, per cui non gli resterebbe altro che continuare a servire il padre padrone di Israele fino alla fine.
Insomma, se sul piano giudiziario la decisione della CPI è ineccepibile, sul piano politico, ma soprattutto sul piano umano, cioè sulle possibilità di porre fine alla guerra, o almeno a questa fase della guerra, potrebbe rivelarsi a doppio taglio.
L’incriminazione dei capi di Hamas e il Golem Usa
Passando ai mandati di cattura contro i dirigenti di Hamas, sembra sensato quanto osserva Amos Harel, cioè che sono stati aggiunti successivamente, per preservare l’immagine di equilibrio e imparzialità del procedimento (anche se egli nega tale imparzialità, difendendo d’ufficio l’operato di Israele). D’altronde, se si fossero perseguiti solo i leader israeliani la Procura internazionale sarebbe stata accusata di essere la longa manus di Hamas.
Se il mandato di arresto sarà accolto, non avrà alcuna conseguenza per due degli imputati, Yahya Sinwar, Mohammed Deif, rispettivamente il capo di Hamas nella Striscia e il comandante delle milizie di Hamas, perché già ora sono perseguiti un po’ dappertutto come terroristi.
Potrebbe, invece, avere conseguenze per Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas in esilio, al quale sarebbe negato di visitare i Paesi che riconoscono l’autorità del tribunale, che peraltro potrebbero spiccare mandati di estradizione all’indirizzo di Paesi che non la riconoscono. Insomma, gli sarebbe più arduo, anche se non impossibile, trovare un Paese che lo ospiti.
Va ricordato, inoltre, che nelle varie trattative intercorse tra Hamas e Israele sulla liberazione degli ostaggi e la tregua, Haniyeh è spesso sbarcato al Cairo per prendervi parte, facendo pesare la sua autorità nei confronti dell’estremismo irriducibile di parte del movimento (sulla conflittualità tra Haniyeh e Sinwar rimandiamo al Jerusalem Post).
Inoltre, non si comprende perché sia stato deciso di includerlo nella lista, dal momento che persino il Jerusalem post, oltre a tanti altri media internazionali, ha riferito, accreditandolo, che Haniyeh era stato tenuto all’oscuro dell’attacco del 7 ottobre, giorno in cui si sono consumati i crimini attribuiti ad Hamas.
Invece, nella lista avrebbero potuto e dovuto esser inseriti altri, come ad esempio il ministro della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, che continua imperversare indisturbato. Di ieri l’indiscrezione che si sarebbe infuriato con il capo della polizia perché ha inviato agenti a scortare i camion di aiuti diretti a Gaza, decisione presa a seguito dei numerosi assalti da parte di gruppi di facinorosi israeliani contro gli stessi per impedire che giungano a destinazione.
Al di là del particolare, e tornando alla richiesta di arresto, è dubbio che essa possa essere accolta dai giudici del Tribunale, dal momento che l’America sta facendo fuoco e fiamme per impedirlo.
Sul punto citiamo solo le intemerate del Segretario di Stato Tony Blinken e del presidente Biden, con quest’ultimo che ha voluto sottolineare che Israele “non sta commettendo un genocidio“, precisazione che suona anche come un monito alla Corte di giustizia dell’Aia, l’altro organo inquirente internazionale chiamato a pronunciarsi su tale specifica accusa.
Alle reprimende dell’amministrazione Usa si sono aggiunte quelle dei repubblicani, in un pubblico endorsement nei confronti dell’operato dell’attuale leadership israeliana a Gaza. Con tali esternazioni gli Stati Uniti hanno gettato nel cestino tutta la loro residua credibilità e mostrato il vero, terribile, volto dell’Impero d’Occidente.