12 Settembre 2013

La deriva integralista dell'Egitto di Morsi

La deriva integralista dell'Egitto di Morsi
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Nella rubrica delle lettere del Corriere della Sera, Sergio Romano, il 6 settembre, ricorda un suo viaggio al Cairo del 2011, nel quale un esponente della Fratellanza Musulmana, Mohamed El Beltagy, gli aveva detto che «la Fratellanza non voleva dominare il Parlamento e che aspirava soltanto al 30% dei deputati. Le sue parole sembravano autorizzare la speranza di una Fratellanza “inclusiva”, disposta […] a governare con i movimenti laici». Speranza che subisce il primo colpo quando Morsi, nel novembre 2012, ha promulgato una Costituzione «che rifletteva in buona parte la linea dell’integralismo islamico. «Da quel momento – commenta Romano – il presidente è parso scivolare ogni giorno di più fra le braccia degli elementi più radicali del suo partito e del movimento salafita». 

Questa deriva avrebbe raggiunto l’apice nel giugno del 2013, quando Morsi nomina 13 nuovi governatori provinciali, 7 dei quali appartenenti alla Fratellanza. Tra questi, quello destinato a Luxor, era un esponente di Gama’a al Islamiya, «un gruppo islamico radicale coinvolto nell’attentato turistico del 1997 contro un tempio di Luxor in cui sono morti 58 turisti». Proprio in quei giorni, rammenta il giornalista del Corriere, milioni di egiziani «firmavano un documento in cui chiedevano le dimissioni del presidente della Repubblica».

Conclude Romano: «Mi sembrò evidente che Morsi avesse perduto il senso della realtà, non fosse più in grado di tenere a bada la fazione più radicale del suo movimento, fosse diventato un re travicello. Gli elettori egiziani hanno dato alla Fratellanza la possibilità di governare il Paese e il movimento ne ha fatto un pessimo uso. Al di là di ogni considerazione sulla legittimità del colpo di Stato, questa è la realtà di cui occorre prendere atto».

Titolo della rubrica: Fratellanza musulmana L’ascesa e il declino.