6 Agosto 2024

Medio oriente: la guerra che vuole solo Netanyahu

Russia e Usa frenano. Il nuovo Iran di Pezeshkian, l'ertefice dell'accordo sul nucleare, costretta a rispondere in qualche modo.
Medio oriente: la guerra che vuole solo Netanyahu
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La visita di Sergej Shoigu a Teheran in un momento tanto delicato ha grande rilevanza. Già ministro della Difesa e oggi a capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale russo, Shoigu ha dalla sua una lunga esperienza e un rapporto consolidato con Putin, che lo ha spedito in Medio oriente per evitare il disastro incombente.

Russia e Stati Uniti frenano

Le autorità iraniane lo hanno accolto con la deferenza del caso, data la solida alleanza tra i due Stati, e si sono confrontate con lui sulla risposta che l’Iran deve dare all’assassinio di Ismail Haniyeh da parte di Israele. Una determinazione che il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha ribadito al termine del colloquio con Shoigu, aggiungendo, però, che Teheran cercherà di evitare una guerra di larga scala.

Ciò vuol dire che l’attacco sarà limitato. Più che probabile che tale misura verrà osservata anche da Hezbollah – anch’esso chiamato a rispondere all’omicidio del suo numero due – con il quale Teheran si sta coordinando.

Allo stesso tempo, gli Stati Uniti stanno tentando di porre un freno allo scatenato Netanyahu. Così il Timesofisrael: “Secondo un rapporto di martedì, i funzionari della coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti, che si starebbe preparando a contribuire a respingere il previsto attacco iraniano, hanno avvisato preventivamente Israele di non rispondere con forza eccessiva all’attacco”.

‘Don’t push it’: US, allies said urging Israel to limit response to expected Iran attack

“Non insistere”, hanno detto i funzionari anonimi a Gerusalemme […]. “Pensa attentamente prima di attaccare a tua volta. L’obiettivo, alla fine della giornata, non è quello di iniziare una guerra totale”.

Così, per parte sua, anche l’America, almeno quella parte non consegnata alle follie neocon, sta tentando di evitare che Netanyahu usi della risposta iraniana per incendiare il Medio oriente. Questa, infatti, l’idea sottesa all’ipotesi, formulata in questi giorni dalle autorità israeliane, di un attacco contro Teheran da effettuarsi prima ancora che i suoi missili siano lanciati contro Tel Aviv.

Gli Stati Uniti – sempre la parte di cui sopra, ovviamente – sebbene continuino a subire Netanyahu, non nascondono l’irritazione verso il piromane mediorientale. Ne è dimostrazione plastica la telefonata intercorsa giovedì scorso tra Netanyahu e Biden, con quest’ultimo che, reagendo alle rassicurazioni del suo interlocutore sulla prossima ripresa dei negoziati con Hamas, gli ha risposto: “Smettila di prendermi in giro” (Timesofisrael). Ci è arrivato tardi, ma meglio tardi che mai.

‘Stop bullshitting me’: Biden said to scold Netanyahu in call on truce-hostage deal

Il nuovo Iran

Sulla incombente reazione iraniana, di interesse una nota di Indianpunchline, che spiega come, appena eletto, la prima mossa del nuovo presidente iraniano sia stata quella di affidare a Mohammad Javad Zarif la responsabilità del Center for Strategic Studies, facendone di fatto il suo più stretto consigliere.

Zarif è noto e stimato in Occidente. Anche lui riformista, è stato il deus ex machina dell’accordo sul nucleare iraniano stipulato con gli Usa. Con tale nomina, dunque, Pezeshkian traccia la nuova prospettiva del Paese, aperta decisamente al dialogo con l’Occidente. Un riposizionamento favorito, peraltro, dall’ajatollah Khamenei, che lo ha fortemente sostenuto, come scrive Indianpunchline.

Iran to hit Israel hard with smart power

“Il riformismo – continua il sito – si è trasformato così in una corrente importante della politica mainstream iraniana” e tale sviluppo è carico “di conseguenze per Israele e gli Stati Uniti nella misura in cui il loro vecchio calcolo di alimentare il dissenso e innescare disordini sociali in Iran non funzionerà più. Di sicuro, lo spettro di un impegno costruttivo tra l’Occidente e l’Iran perseguiterà Israele”.

Non solo, secondo il sito, “un’altra sottotrama che si sta svolgendo è che Israele non può più sperare di convincere i paesi del Golfo, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ad allinearsi con esso contro l’Iran”.

Lo testimonia la telefonata di congratulazioni del principe ereditario Mohammed bin Salman al nuovo presidente, al quale ha fatto poi pervenire una missiva riservata, come anche la cancellazione di Hezbollah dalla lista del terrorismo internazionale da parte della Lega araba e, si può aggiungere, l’adesione di Riad e di Abu Dhabi ai Brics.

Sviluppi che una guerra su larga scala in Medio oriente rischiano di incenerire. Per questo l’Iran vuole evitare la guerra e anche per questo Netanyahu la vuole a tutti i costi.

Risposta limitata, ma tante le incognite

Significativo anche quanto sembra suggerire l’analista di Arabi21, cioè che potrebbe ripetersi, sotto altre forme, quanto accaduto ad aprile, quando, nel reagire al bombardamento del suo consolato in Siria, Teheran “ha informato tutti gli interessati, compresi gli americani, dei dettagli precisi della risposta contro Israele, consentendo l’abbattimento di tutti i suoi missili e droni” [quasi tutti, in realtà, alcuni missili hanno colpito una base militare ndr.].

لا حرب كبرى الآن بين إسرائيل وإيران

Stavolta, però, prosegue l’analista, “Netanyahu ha esagerato nel mettere in imbarazzo l’Iran” con Teheran costretta a rispondere in qualche modo, altrimenti incoraggerebbe “Netanyahu a continuare le sue aggressioni, gli assassinii e gli attacchi all’interno dell’Iran nel tentativo di attirarlo in una guerra nella quale non ha alcun interesse”.

“Tuttavia, una risposta efficace significa quasi inevitabilmente una guerra contro Israele e gli Stati Uniti, che è ciò che Netanyahu vuole, e probabilmente finirà con la distruzione dell’Iran e il cambio del suo regime. Tutto ciò che sta tra non rispondere e una vera risposta sembra accettabile da tutte le parti e rientra nelle regole del nuovo gioco. Naturalmente, c’è molto spazio per errori di calcolo, una seria possibilità alla luce dell’escalation in corso, ma i calcoli strategici di tutti gli interessati suggeriscono che ciò non accadrà”.

Il punto di vista dell’analista arabo è di sicuro interesse, ma le variabili di questo nuovo gioco sono davvero tante e pericolose le incognite. Chiudiamo con un cenno che sembra confermare la disposizione dell’amministrazione Biden alla de-escalation. Ieri dei razzi hanno colpito una base americana in Iraq, ferendo cinque militi. Attacchi similari, e anzi meno gravi, in passato hanno suscitato reazioni infiammate. Invece, a parte le dichiarazioni di prassi sulla necessità di una reazione, da attuare a tempo debito, la notizia è stata tenuta bassa, quasi non fosse accaduto nulla.