La Primavera araba in salsa russa
Tempo di lettura: 3 minutiManifestazioni di piazza in Russia. Lucia Annunziata, in una trasmissione televisiva, pregna di analisti “di grido”, ha spiegato con l’entusiasmo del caso che quanto sta avvenendo a Mosca ricorda moltissimo gli avvenimenti della Primavera araba. Vero, ma quanto ci sia da entusiasmarsi alla prospettiva resta un mistero. Per stare al passato, il Washington Post, non certo un media filo-russo, spiegava come a causa della Primavera araba: “La regione [araba] è rimasta traumatizzata in quello che è stato il decennio più distruttivo mai conosciuto nell’era moderna, forse il più distruttivo degli ultimi secoli”.
Così è davvero difficile condividere l’entusiasmo per un movimento che vorrebbe ripetere tale tragedia in un Paese che, peraltro, ha nei suoi magazzini il potenziale atomico bastevole a incenerire il mondo. Ma certi entusiasmi e certe follie appartengono ormai al mondo moderno.
Comunque, resta che la Russia non accoglierà con eguale entusiasmo la prospettiva e, ben conoscendo le dinamiche delle rivoluzioni colorate, non lascerà dilagare la protesta tanto da mettere a repentaglio la tenuta del Paese.
Mosca accusa l’America di fomentare le ribellioni e di usare allo scopo la potenza geometrica delle Big Tech, già protagoniste di rivolte similari in giro per il mondo, ultima delle quali quella di Hong Kong.
D’altronde è ovvio che con la vittoria di Biden siano cambiate le linee di politica estera americana. Il realismo che aveva guidato, almeno in parte, l’amministrazione Trump, aveva imposto una nuova direttrice: il riavvicinamento con Mosca per portarla a collaborare al contenimento della Cina.
A Trump fu impossibile perseguire quanto si era proposto, stanti le grandi forze ostative, né era possibile portare Mosca contro Pechino, dati i vincoli economico-finanziari-militari tra i due Paesi, ormai irreversibili.
E però, in maniera tacita, aveva egualmente frenato le spinte anti-russe proprie dell’amministrazione Clinton-Obama, culminate nella rivolta di piazza Maidan, sviluppo che, ha sottratto l’Ucraina dall’orbita russa e, allo stesso tempo, l’ha resa uno Stato fallito, la cui sopravvivenza economico-finanziaria dipende interamente dagli aiuti internazionali.
Il Regime-change avvenuto a Washington dopo l’assalto di Capitol Hill ha riportato in auge il conflitto con Mosca, e non è certo casuale che le proteste attuali siano emerse con forza in costanza dell’insediamento di Biden.
Né è un caso che, in contemporanea con i moti di piazza, gli Usa abbiamo inviato due cacciatorpedienieri nel Mar Nero, a ridosso delle coste russe. Una sfida inutile, che serve solo a inviare un segnale minaccioso a Mosca.
Insomma, Washington mostra i muscoli contro la Russia, che al solito reagisce accusandola di ingerenze indebite nel suo Paese, con accuse speculari a quelle mosse dall’antagonista globale.
Ma sono anche segnali che i Signori della guerra, che da anni decidono della politica estera Usa, inviano a Biden, che al di là dei proclami fatti in campagna elettorale, non condivide l’accesa conflittualità con Mosca, come ha dimostrato nella sua prima conversazione telefonica con Putin.
Detto questo, tali Signori sanno perfettamente che il successo di una Primavera araba in salsa russa è impossibile. Essa persegue essenzialmente due scopi.
Da una parte si vuole porre criticità all’interno della Russia, allo scopo di distrarla dal proscenio globale, nel quale gli ambiti di cui sopra stanno cercando di erodere gli spazi che Mosca ha guadagnato in questi anni (Medio Oriente ed Europa).
Dall’altra, sanno perfettamente che Mosca dovrà dare una stretta alla vicenda, non potendosi permettere di attendere com’è avvenuto a Hong Kong, dove Pechino ha deciso il giro di vite quando ormai la città era sull’orlo del collasso.
Le autorità russe, prima o poi, dovranno inevitabilmente chiudere e i Signori della guerra sperano che ciò avverrà attraverso misure eccezionali. Nulla importando della sorte di quanti subirebbero tale stretta, sarà un ulteriore danno di immagine del Cremlino.
Non solo, tale svolta potrà innescare nuove e più incisive sanzioni anti-russe e dovrebbe indurre gli “alleati” di Washington, in particolare l’Europa, a rinnovare quella subordinazione gli Stati Uniti che negli anni di Trump si è alquanto allentata.
Questa la sfida vera che si sta giocando a Mosca. Non un duello a colpi di spada, ma di fioretto, con i russi che stanno tentando di arginare la rivolta attraverso le normali misure di contenimento, quelle usate, ad esempio, durante l’assalto di Capitol Hill o le manifestazioni di piazza che si susseguono in Europa contro il lockdown. Sviluppi da seguire.