La pulizia etnica contro i musulmani nella "nuova Birmania"
Tempo di lettura: 2 minuti«In Birmania i monaci buddisti sono tornati a protestare, con un lungo corteo color zafferano come quello della rivoluzione del 2007 repressa nel sangue. Ma se cinque anni fa marciavano contro la giunta militare, ora sostengono la politica del neopresidente, un ex generale di quella dittatura. Il nemico comune sono gli 800mila musulmani di etnia Rohingya nell’ovest: una minoranza di “diversi” contro la quale si sta compattando la “nuova Birmania”, in un riallineamento tra governo e opposizione impensabile fino a un paio di anni fa». Così la Stampa del 4 settembre. La soluzione per i Rohingya proposta dal governo, e sostenuta dai monaci nella loro manifestazione, è «l’espulsione di massa verso qualsiasi governo disposto ad accoglierli». Una compattezza, contro questa sfortunata etnia, che include anche personalità note all’estero per la loro opposizione al passato regime: dall’ambiguità di Aung Suu Kyi, alla proposta del decano dell’opposizione Win Tin, di chiudere i Rohingya in «campi di internamento come quelli per i giapponesi negli Usa durante la seconda guerra mondiale». L’accesso alla regione in cui vivono i Rohingya, una delle etnie più discriminate al mondo secondo l’Onu, è proibito a giornalisti e turisti. «I pochi che sono riusciti ad entrare (..) segnalano un’effettiva pulizia etnica dalla capitale Sittwe, con decine di migliaia di Rohingya costretti in squallidi campi profughi».
Nota a margine. Chi ricorda cosa successe nel 2007, la massiccia mobilitazione internazionale per sostenere i legittimi diritti dei monaci e dei cittadini birmani, non può non notare l’assordante silenzio su quanto accade ora nella stessa nazione. E porsi qualche domanda, ora per allora…