La Russia ospita una delegazione di talebani
Tempo di lettura: 4 minutiMosca ha ospitato i talebani, in una visita che ha suscitato qualche agitazione, come da titolo di Dagospia, che dà notizia che i russi hanno “riconosciuto” i talebani, primi nel mondo a dare la patente di legittimità al loro governo.
In realtà, a leggere la nota lanciata da Dago, i russi “riconoscono” solo che i governo ha fatto passi avanti, ma il ministro degli Esteri Lavrov ha detto chiaramente che “il riconoscimento dei governo dei talebani non è sul tavolo” (Reuters).
Solite furbizie della stampa per gettare ombre sul Cremlino, che non sta facendo altro che quel che hanno fatto finora gli americani a Doha, cioè trattare col nuovo governo nella speranza di stabilizzare il Paese, dato che ne temono il collasso, che farebbe dilagare il terrorismo nella regione, investendo gli Stati dell’ex unione sovietica confinanti e la stessa Russia.
La Russia, l’Occidente e i talebani
A lanciare l’allarme in tal senso è stato Putin, il quale ha dichiarato che “i membri del gruppo terroristico dello Stato islamico che hanno combattuto in Iraq e Siria si stanno riversando nel nord dell’Afghanistan” (Itar Tass).
Un pericolo per Mosca, che deve trovare un modo per gestirlo. E sul punto sono essenziali i talebani, che hanno nell’Isis il loro nemico giurato, peraltro già attivo visti i tre attentati che si sono succeduti negli ultimi giorni, che hanno causato centinaia di morti (Kunduz, Kandahar).
Anche in Occidente si sta lavorando per lo stesso motivo, così nell’ultimo incontro tra talebani e americani a Doha e così nel fantomatico G-20 sull’Afghanistan svoltosi il 12 ottobre in Italia.
E così la Cina, che si sta muovendo con prudenza nel trattare con il nuovo governo afghano, cercando di evitare le “trappole” del caso (Global Times), cioè un coinvolgimento affrettato e a rischio nel Paese confinante, dal quale in passato si è infiltrato il terrorismo degli uiguri (che ha innescato la reazione dura di Pechino nello Xinjiang, abitato da tale etnia).
Per inciso, l’Isis, nel rivendicare l’attacco di Kunduz, ha dichiarato che l’attentatore era di etnia uigura, specifica che ha destato meraviglia perché è la prima volta che l’Agenzia del Terrore dichiara l’etnia di un suo soldato suicida. Probabile che abbia ragione il South China Morning Post. che spiega tale specifica come una implicita minaccia verso Pechino.
Per tornare all’incontro russo, l’Itar Tass spiega che l’incontro con i talebani non sembra dover dare grandi risultati, anche per il basso profilo della delegazione inviata a Mosca, dato che a guidarla sarà Abdul Salam Hanafi, che “non è una figura molto influente” nel suo Paese (Itar Tass).
Comunque serve a creare un filo di dialogo indispensabile se si vuole tentare di aiutare l’Afghanistan a non collassare. Anche per questo Mosca ha inviato aiuti umanitari, che vanno a sommarsi a quelli promessi dall’Occidente.
Sull’Afghanistan sembra dunque iniziata una corsa tra Occidente e Oriente, che in tal modo se ne contendono l’influenza, a scapito di una convergenza più produttiva, impossibilitata da una rivalità strategica incolmabile riguardo le sorti del Paese.
I soldi degli afghani in America
Per inciso, a impoverire il Paese è stato il governo fantoccio tirato su dall’America, che ha messo in atto iniziative che hanno esaurito le riserve della banca centrale afghana (Reuters).
I soldi degli afghani sono stati trasferiti ovviamente negli Stati Uniti, dato il filo diretto col loro viceré afghano, che ora detengono più di 9 miliardi di dollari afghani nelle loro banche. Per bocca del Il vice segretario al Tesoro, Wally Adeyemo, gli Usa hanno fatto sapere che quei soldi resteranno nelle loro casseforti (al Jazeera).
Un diniego giustificato dalla necessità di non dare soldi ai terroristi. Ma ad oggi i talebani sono le uniche forze che si frappongono al dilagare dell’Isis in Asia. A complicare la cosa, il fatto che i talebani asseriscano che il congelamento di quei soldi sarebbe contrario agli accordi di Doha, nei quali gli americani avrebbero dato rassicurazioni sulla loro restituzione.
Ipotesi probabile, dato che un accordo era stato trovato, ma tant’è. Una cosa certa è che gli aiuti umanitari inviati dagli Usa saranno detratti da quei fondi, così che un gesto umanitario in realtà, almeno ad oggi, nasconde un furto ai danni del popolo afghano del quale gli Usa si dicono preoccupati.
D’altronde se Biden desse il via alla restituzione sarebbe impallinato, dato che al momento è già sotto processo mediatico per aver ritirato l’esercito americano dal Paese. Se scongelasse quei beni i media direbbero che arma i terroristi (1)…
La politica riserva di queste complessità ed è inutile indugiare su torti e ragioni, nella speranza che si arrivi a un esito positivo. Le pressioni internazionali sui talebani – sia quelle animate da buone intenzioni che quelle strumentali – perché il loro governo sia meno settario devono essere temperate dalla consapevolezza che sia dato modo a essi di rispondervi nel quadro di uno sviluppo della situazione attuale.
L’alternativa, cioè l’aggravio delle pressioni per ottenere un cambiamento per via rivoluzionaria, provocherebbe solo il collasso del Paese e l’insorgenza di un Terroristan nel cuore dell’Asia. A farne le spese non sarebbero solo Cina e Russia, ma anche l’Occidente, come si è visto con l’affermarsi del Califfato in Siria e Iraq.
(1) per risolvere il problema si potrebbe conferire i depositi dell’ex governo afgano ad un fondo controllato dall’ONU allo scopo di portare aiuti umanitari alle popolazioni o sostenere progetti volti a migliorare la condizione delle donne. In questo modo i soldi degli afgani tornerebbe ai legittimi proprietari senza il rischio di utilizzi indebiti o pericolosi.