La Siria, i neocon e l'ambiguità turca
Tempo di lettura: 3 minutiComplicazioni nella crisi siriana. Ne fornisce qualche indicazione Alberto Stabile sulla Stampa del 27 febbraio. Dopo un’analisi riguardante le sorti alterne e progressive dell’Isis, conclude toccando il conflitto siriano dove «tre forze in competizione si disputano quel che resta del Califfato siriano. Assad, con l’ appoggio delle forze sciite irachene, punta a riconquistarlo per consolidare l’asse Damasco-Baghdad. La coalizione curda, sostenuta dagli americani, vuole sottrarlo ad Assad.
L’intervento di una forza turco-sunnita (con l’appoggio saudita) rinverdirebbe le ambizioni neo-ottomane di Ankara».
«I contrasti potrebbero allungare la vita dello Stato islamico oltre il 2017. Chiuso nel suo bunker, nell’ aprile del 1945, Hitler vagheggiava il ripetersi del «destino di Federico di Prussia», il re che nella Guerra dei Sette anni si trovò attaccato da Francia, Austria, Russia, ma alla fine vinse, o almeno pareggiò, per le divergenze fra i suoi avversari. Il Califfo forse sogna qualcosa del genere per far sopravvivere il suo impero islamista
».
Nota a margine. L’accennata analisi di Stabile necessita aggiunte. La guerra siriana è stata per anni l’epicentro di un conflitto mondiale che ha visto in azione attori locali e internazionali.
Un quadro internazionale che sembrava doversi mutare in senso virtuoso. Proprio la crisi siriana, infatti, avrebbe dovuto essere il punto di partenza per un rinnovato dialogo tra gli Stati Uniti di Trump e la Russia. Forze occulte hanno mandato all’aria questo appeasement.
Certo, almeno al momento, sembra scampato il pericolo di un vero e proprio ingaggio tra americani e russi, opzione manifestata dalla Clinton.
E certo la presa di Aleppo da parte di Assad cambia di molto gli equilibri strategici sul campo, rendendo più difficile il collasso del Paese (e di Assad). Ma la possibile risoluzione della crisi siriana si è fatta più complessa.
Tanto è ancora da capire, dal momento che Trump deve ancora dispiegare la sua strategia (palese e/o sottotraccia). Quel che è certo è che in questo vuoto si sono inseriti i neocon, come dimostra l’incontro altamente simbolico tra Recep Erdogan e il senatore americano John McCain di cui abbiamo dato notizia in una nota precedente. Quel McCain che tanta parte ha avuto nella catena che rannoda lo jihadismo siriano di marca saudita alla Sicurezza americana.
L’incontro in questione dice che l’appoggio americano ai tagliagole siriani prosegue. Ma quel che è peggio, come sottolinea l’articolo di Stabile, i neocon hanno profittato di questo vuoto della strategia americana per incrinare l’asse strategico tra Turchia e Russia, che stava riportando la pace in Siria.
In contrapposizione con tale asse, i neocon hanno rinnovato il loro tacito accordo al progetto neo-ottomano di Erdogan, sogno che contempla una rinnovata influenza turca nella vicina Siria.
Certo, a Erdogan non conviene mettersi nuovamente in rotta di collisione con la Russia come accaduto in un catastrofico (per lui) passato, piuttosto mantenere quell’atteggiamento ambiguo che gli consente di parlare di pace con Mosca e contrastare Assad attraverso i movimenti jihadisti di rito turco e saudita.
E proseguire nella sua lotta senza quartiere contro i curdi siriani. Una lotta, quella contro il Pkk e affini, che vede il sultano turco alleato con i curdi iracheni di Barzani, il quale è stato ricevuto con tutti gli onori ad Ankara (come da notizia di Anadolu, l’agenzia stampa turca).
Un’ambiguità che avrà il suo peso anche nei negoziati che si stanno svolgendo a Ginevra. Se prima sembravano avviati a un primo, anche se esile, risultato positivo, stante gli accordi tra russi e turchi (e iraniani) raggiunti in precedenza ad Astana, oggi tutto si è fatto più aleatorio. I russi, per parte loro, hanno chiesto che a tali negoziati partecipino anche i curdi.
Una richiesta ovvia, la pace si fa tra nemici, ma che risulterà sgradita alla Turchia che li vuole esclusi in quanto movimenti terroristi come l’Isis e al Nusra. Il cenno russo è un altro indizio che qualcosa, nell’asse Ankara-Mosca, si è complicato.
Non è di buon auspicio per la riuscita dei negoziati. Il suo esito dipenderà molto dalle ambiguità turche: sul tavolo dei negoziati potrebbero dar adito a ingestibili contraddizioni o potrebbero rimanere contenute.
Un vero garbuglio. Per sbrogliare la matassa e chiudere il mattatoio siriano servirebbe un Trump in grado di dissipare la conflittualità con la Russia. Ma le forse ostative, da destra e da sinistra, sono davvero tante e progressive.