29 Gennaio 2024

La sospensione degli aiuti all'UNRWA e i tre soldati Usa uccisi

Le accuse pieni di "si dice" e "sembra". Il blocco dei finanziamenti serve per far pressione sulla Corte internazionale di Giustizia. Intanto in Siria (o in Giordania...) si getta altro benzina su un fuoco che cominciava a raffreddare.
La sospensione degli aiuti all'UNRWA e i tre soldati Usa uccisi
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Israele ha accusato 14 dipendenti dell’Unrwa, l’Agenzia Onu preposta a fornire assistenza umanitaria ai palestinesi, di aver partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Riportiamo la conclusione di un articolo del New York Times sul tema: “La notizia sulle accuse contro gli operatori umanitari sono arrivate lo stesso giorno in cui la Corte internazionale di giustizia ha emesso una sentenza provvisoria sulle accuse di genocidio mosse contro Israele dal Sud Africa. La corte ha ordinato a Israele di agire per prevenire atti di genocidio da parte delle sue forze a Gaza e di consentire maggiori aiuti nel territorio”. Details Emerge on U.N. Workers Accused of Aiding Hamas Raid

Accuse ALL’UNRWA e perplessità 

Esplicitando quanto implicito nell’articolo del NYT, l’accusa all’Unrwa è la risposta di Israele al provvedimento della Corte. Come spiega il media Usa, Washington non ha avuto modo di “corroborare” le accuse di Tel Aviv, ma in via preventiva ha sospeso gli aiuti all’Agenzia, seguita a ruota dai cosiddetti alleati.

Il NYT afferma di aver ricevuto il dossier israeliano, ma il suo articolo è pieno di “si dice”. Ne riportiamo l’incipit: “Un uomo è accusato di aver rapito una donna. Si dice che un altro abbia distribuito munizioni. Un terzo avrebbe preso parte al massacro in un kibbutz dove morirono 97 persone. E si dice che tutti siano dipendenti dell’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite che assiste, ospita e nutre centinaia di migliaia di palestinesi nella Striscia di Gaza”.

L’altra cosa rilevante della tempistica è il ritardo con il quale l’intelligence israeliana ha scoperto le asserite malefatte di questi funzionari dell’Unrwa: sono passati più di 100 giorni dall’inizio della guerra e l’attacco del 7 ottobre è stato indagato come mai nessun altro prima…

Oltretutto, fin dall’inizio della guerra Israele ha accusato l’Unrwa e i suoi funzionari di connivenze con Hamas – il NYT ricorda gli “attriti decennali tra Tel Aviv e l’Unrwa – ma finora avrebbe tenuto tale documentazione nel cassetto.

Peraltro, si tratta di “prove” di facile reperibilità, cioè post sui social che poteva vedere chiunque e intercettazioni telefoniche, ambito nel quale l’intelligence israeliana eccelle, come si è visto nel caso del primo bombardamento dell’ospedale al Shifa, con Israele pronto a esibire in poche ore intercettazioni che accusavano la Jihad islamica (accusa sulla quale il New York Times ha pubblicato articoli alquanto critici).

Le pressioni sulla Corte di Giustizia dell’Aia

Non si tratta di rigettare in toto le accuse, ma di valutarle con la relatività del caso, anche per via delle tante defaillance in cui è incorsa la narrativa israeliana. Della più recente ha scritto Haaretz, ricordando come l’esercito israeliano avesse notificato a Maayan Sherman che Hamas aveva ucciso il figlio Ron, preso in ostaggio il 7 ottobre. La causa della morte, però, è smentita in modo chiaro  dall’autopsia: Ron è stato ucciso dall’esercito israeliano con il gas, diffuso in uno dei tanti tunnel di Gaza nel corso di un attacco. The Israeli Army Said Their Captive Son Was Killed by Hamas. Then the Pathologist Showed Up

Se ricordiamo la vicenda è solo per rimarcare la cautela con cui dovrebbero essere accolte le accuse contro i funzionari dell’Unrwa, che comunque restano gravi, tanto che l’Agenzia ha sospeso dalle attività le persone in questione e avviato un’indagine.

Resta, però, inaccettabile la sospensione massiva dei finanziamenti all’Agenzia, dal momento che comprometterà ancor più le già tragiche condizioni dei palestinesi di Gaza, ridotti alla fame e flagellati dalle malattie causate dalle condizioni igienico-sanitarie tremende nelle quali sono ridotti dalla morsa dell’invasione e delle bombe israeliane. Tanti hanno lanciato appelli sulle conseguenze della sospensione degli aiuti, ma al momento restano inascoltati.

Si ricordi, peraltro, come i Paesi che stanno riducendo alla fame i palestinesi per via di 14 presunte mele marce su 30mila dipendenti dell’Unrwa, sono gli stessi che piangono  calde lacrime per l’Holodomor, l’asserito genocidio ucraino per carestia indotta che sarebbe stato deciso da Stalin negli anni ’30 (alla tragedia abbiamo dedicato una nota pregressa).

Al di là delle domande e delle perplessità di cui sopra, è alquanto ovvio che si stia usando il blocco dei finanziamenti per far pressione sulla Corte internazionale di Giustizia dell’Onu perché riveda le sue posizioni. Il provvedimento provvisorio emesso lo scorso venerdì, infatti, suona come una condanna netta per Israele, nonostante i media d’Occidente ne abbiano diluito la sostanza.

Israele ha un mese di tempo per tirarsi fuori dalle pastoie nelle quali si è ficcato con le sue mani, altrimenti tra un mese la Corte potrebbe emettere un verdetto più esplicito. Ma, a quanto pare, la fazione più bellicosa di Israele non demorde, anche e soprattutto per l’appoggio che trova oltreoceano e altrove (tra cui la derelitta Italia). Ed è facile supporre che a questa prima reazione ne seguiranno altre. Più dure.

La morte dei tre marines Usa

Chiudiamo questa nota con l’attacco che sarebbe stato condotto dalle milizie sciite irachene contro una base americana. Incertezza sulla location della base in questione – gli Stati Uniti la situano in Giordania, mentre i giordani parlano della base di al Tanf in Siria – certo è, invece, che sono morti tre marines

È dall’inizio della guerra di Gaza che le basi americane in Iraq e Siria sono bersagliate dalle milizie sciite allo scopo dichiarato di forzarne il ritiro e in solidarietà con l’ingaggio di Hezbollah, Hamas e Houti yemeniti contro il nemico comune.

Quanto avvenuto è davvero strano. Finora le milizie sciite avevano evitato di causare morti, limitandosi ad attacchi poco più che simbolici, diretti a esercitare pressione sugli occupanti (che tali sono, di fatto).

Bizzarra, anche qui, la tempistica. Due giorni fa la notizia che Stati Uniti e Iraq avevano avviato colloqui formali per il ritiro delle truppe americane. Le milizie di cui sopra, insomma, avevano cioè vinto la loro partita, una vittoria che è stata celebrata da tutto il cosiddetto asse della resistenza.

La morte dei tre soldati Usa complica maledettamente tutto. Biden giura vendetta, d’altronde in un anno di elezioni non può mostrarsi debole. Il solito Lindsey Graham chiede di bombardare l’Iran, un riflesso condizionato ormai incurabile. La reazione sarà durissima: il rischio di un’escalation è alto. E il dialogo Usa-Iraq per il ritiro americano potrebbe chiudersi. Senators Call for US to Bomb Iran in Response to Drone Attack in Jordan

Sui siti collegati all’asse della resistenza la notizia scorre bassa, mentre avrebbe  dovuto esser celebrata come una vittoria alla stregua di altri attacchi.

Un attacco andato oltre le intenzioni? Un sabotaggio ad hoc da parte di infiltrati, che se ne contano a iosa in queste milizie dalla composizione magmatica? Il complicato puzzle mediorientale difficilmente offre risposte che non siano ambigue.

Peraltro, proprio in questi giorni si stanno svolgendo colloqui serrati tra Hamas e Israele, tramite i rispettivi mediatori, per raggiungere una tregua in cambio della liberazione degli ostaggi. Trattativa ardua, ché Hamas chiede ovviamente un cessate il fuoco a tempo indeterminato, ma nell’aria c’è un cauto ottimismo sulla finalizzazione di un accordo. Un’escalation chiuderebbe anche questo spiraglio.