La strage delle Rambla: le accuse ai servizi segreti spagnoli
Tempo di lettura: 3 minutiUna bomba scuote la Spagna, ma stavolta non si tratta di un attentato, anche se ha a che fare con un’azione terrorista, quella che, nell’agosto del 2017, che vide un camion falciare 13 persone sulla Rambla di Barcellona, vittime alle quali va aggiunto il conducente del veicolo, ucciso per rubarglielo, e una donna assassinata il giorno seguente da un altro commando – o lo stesso non si sa ancora – nella vicina cittadina di Cambrils.
Jose Manuel Villarejo, un ex commissario di polizia che ha seguito le indagini, ha dichiarato che dietro l’operazione rivendicata dall’Isis c’era la mano dei servizi segreti spagnoli, i quali hanno lasciato fare campo libero alla cellula terrorista perché l’attentato gli avrebbe fatto gioco in vista del referendum sull’indipendenza della Catalogna, svoltosi due mesi dopo (The National).
Un’accusa che non arriva a ciel sereno, dato che da tempo in Spagna c’è polemica sul ruolo allora svolto dal Centro Nacional de Inteligencia (CNI). Da quando cioè Publico ha rivelato, con tanto di documenti allegati, che l’uomo identificato come la mente dell’attentato, l’imam Abdelbaki es Satty, era in rapporti stretti con l’Agenzia di spionaggio, con l’ultimo contatto rilevato a soli due mesi dalla strage, quando già fervevano i preparativi per metterla in atto.
L’articolo di Publico rivelava l’esistenza di una corrispondenza via e-mail tra l’imam e qualcuno dei servizi segreti spagnoli, intrattenuta con il metodo della “lettera morta”, che si basa su uno scambio di messaggi scritti su una e-mail di comune accesso e registrati in bozza per essere visualizzati dall’interlocutore (non si invia nulla, quindi non c’è modo di intercettarli).
E pubblicava una serie di documenti interni ai servizi che evidenziavano come questi tenessero sotto stretta sorveglianza la cellula terrorista, anche a ridosso dell’attentato (viaggi, mezzi usati per gli spostamenti, contatti con altri jihadisti etc).
L’imam è morto insieme a un complice nell’esplosione che la notte precedente la strage ha sventrato una palazzina ad Alcantar, deflagrazione attribuita agli ordigni che i due stavano fabbricando manipolando allo scopo le usuali bombole a gas (come quelle che i ribelli moderati siriani cari all’Occidente hanno fatto piovere per anni sulle teste dei civili siriani, bimbi compresi, ma questo è un altro discorso… forse).
Sullo strano imam delle Rambla anche le pregresse dichiarazioni di Jaume Alonso Cuevillas, avvocato di Javier Martínez – padre quest’ultimo di un bambino ucciso nell’attentato -, che in base a documenti e testimonianza ha ipotizzato che il predicatore non sia morto nell’esplosione (Diario 16).
Secondo tali documenti, nella palazzina di Alcantar ci sarebbero state circa quattro o cinque persone, ma “dopo l’esplosione sono stati trovati solo i resti di due persone, di cui uno è stato identificato e l’altro no”. Infatti, mentre l’identificazione di uno dei corpi è certa (si tratta di uno jihadista), le perizie della magistratura non hanno dato “certezze concrete” sul fatto che l’altro fosse effettivamente l’imam.
Inoltre, secondo l’avvocato, “ci sono testimoni che affermano di aver visto il suo furgone lasciare la scena subito dopo l’esplosione. Furgone che è stato poi ritrovato davanti alla porta di una macelleria di un paese vicino che l’imam frequentava”.
Inoltre, “secondo Cuevillas, i telefoni cellulari dei due presunti autori degli attacchi sarebbero stati registrati all’aeroporto di El Prat la notte prima degli attacchi”, cioè al momento dell’esplosione di Alcanar. Ubicazione che spiegherebbe anche perché tra le macerie di Alcantar non sia stato trovato il cellulare dell’Imam assassino.
Infine, sempre secondo l’avvocato, “la nipote dell’imam avrebbe comprato due biglietti aerei per quella notte del 16 agosto”.
Ovviamente, sebbene il rapporto tra l’imam e la CNI sia stato confermato, le accuse mosse contro l’intelligence spagnolo sono state bollate come complottismo, limitandosi il tribunale semplicemente a rilevare l’anomalia.
D’altronde quasi tutti gli attentati che hanno insanguinato l’Europa nel corso di questi ultimi anni hanno visto protagonisti jihadisti in rapporti o attenzionati dai servizi segreti dei vari Paesi.
La rabbia dei parenti delle vittime della Rambla è stata incrementata dalla decisione dei giudici, che nel formulare i capi di accusa degli unici componenti della cellula terrorista arrestati – gli altri sono stati uccisi nell’esplosione di Alcantar o dalle forze dell’ordine – hanno escluso il reato di omicidio, optando per reati più lievi (associazione a organizzazione terrorista e altro). Da cui le pene corrispondenti, che hanno evitato l’ergastolo ai rei.
Va ricordato, infine, che tra le vittime della strage di Barcellona c’erano tre poveri italiani.