La Turchia e lo scontro tra potenze
Tempo di lettura: 3 minutiLa Turchia oscilla tra Est e Ovest e produce onde sismiche al momento quasi impercettibili, ma potenzialmente in grado di generare un terremoto devastante a livello globale.
Sul riposizionamento di Ankara verso l’Occidente, registrato dopo le ultime elezioni presidenziali, abbiamo già scritto. Ne riferisce anche M.K. Bhadrakumar su The Cradle, ripercorrendo i recenti strappi rispetto alla politica estera precedente, che aveva portato Erdogan a stringere rapporti sempre più stretti con Mosca.
Il ri-orientamento si è sostanziato in un uno-due micidiale: la creazione di una fabbrica di droni, i micidiali Bayraktar, in Ucraina e soprattutto la simbolica restituzione all’Ucraina di cinque comandanti del Battaglione Azov, avvenuta in violazione di un accordo con Mosca in base al quale Erdogan avrebbe dovuto trattenerli in Turchia fino alla fine della guerra.
Tali strappi hanno fatto irrigidire Mosca, ma non si è ancora arrivati alla rottura. Giustamente Bhadrakumar spiega che l’Occidente sta cercando in tutti i modi di intruppare nuovamente Erdogan nei più ristretti ranghi della NATO, sia promettendo l’invio di un lotto di F-16, da tempo richiesti da Ankara, sia cercando di rivitalizzare l’economia turca, in piena depressione, con deficit in aumento dopo il collasso dell’accordo sul grano ucraino causato dal niet russo.
Il grano e gli stivali NATO sul terreno ucraino
Su quest’ultimo punto, Bhadrakumar spiega come la NATO stia cercando di convincere Ankara a dar vita a una rotta alternativa per il grano ucraino. Un passaggio interessante dell’articolo perché riguarda le sorti dl conflitto ucraino.
Si tratterebbe di far transitare il grano ucraino “attraverso la regione nord-occidentale del Mar Nero” attraverso “le acque territoriali della Romania, un altro Paese membro della NATO, dove è dispiegata la 101a divisione aviotrasportata dell’esercito americano”.
Ciò potrebbe preludere all’arrivo di “stivali sul terreno” USA/NATO in Ucraina. Infatti, “gli Stati Uniti e i loro alleati si rendono conto che l’esercito ucraino malridotto non può assolutamente sconfiggere la Russia ed è necessario un piano B per restringere tatticamente le forze russe a est del fiume Dnepr fino a quando un asse militare polacco-lituano-ucraino, attualmente in fase di preparazione, potrà essere inviato nell’Ucraina occidentale, cosa prevista per il prossimo l’autunno”.
“Nel frattempo, gli Stati Uniti sperano di far fronte alle offensive russe dirette contro la città portuale estremamente strategica di Odessa. Tuttavia, qualsiasi tentativo occidentale di minare il tradizionale dominio regionale della Russia nel Mar Nero non può iniziare senza la cooperazione della Turchia”.
Scenario forse esagerato quello tracciato da Bhadrakumar, dal momento che l’invio di una forza NATO composta da truppe polacche e baltiche in Ucraina è ancora solo un’opzione tra le altre e come tale potrebbe svaporare. Nondimeno l’ipotesi è ancora sul tavolo e su di essa si concentrano le pressioni dei neoconservatori.
Da questo punto di vista, la recente nomina della bellicosa Victoria Nuland a vice di Blinken non promette nulla di buono. Più che probabile che sia lei, più che il giovane Blinken, a guidare il Dipartimento di Stato d’ora in poi. E la sua irriducibile ostilità verso la Russia, una vera e propria ossessione, non è di ausilio per avviare negoziati di pace.
La Turchia e lo scontro tra potenze
Ma al di là dell’incerto futuro – sul quale si addensano nubi temporalesche, ma anche spiragli di pace (1) – resta appunto che la Turchia ha un ruolo cruciale, non solo nel ristretto ambito della guerra ucraina, ma anche nel più ampio confronto globale tra potenze.
Così Bhadrakumar: “Il paradosso è che gli strateghi statunitensi che iniziarono ad applicare il termine ‘swing state’ alla geopolitica alla fine degli anni ’90, cioè mentre il ‘momento unipolare’ stava svanendo, attribuirono alla Turchia le caratteristiche classiche di una nazione la cui affiliazione nell’ambito geopolitico avrebbe determinato l’esito della rivalità tra le grandi potenze per i decenni a venire. Iniziò così l’agonia e l’estasi della politica estera della Turchia”.
Nonostante il nuovo afflato verso l’Occidente, Erdogan non ha ancora attraversato il Rubicone, rimanendo nel terreno a lui più consono dell’ambiguità, che gli ha consentito negli ultimi anni di trattare con l’una e l’altra sponda. Resta da vedere se riuscirà a rimanere in questa posizione.
(1) Sulle possibilità di arrivare a un endgame in Ucraina, è interessante una nota della BBC che, analizzando il recente vertice Nato di Vilnius, registra come Zelensky non abbia ottenuto quanto richiesto, citando come memento per il presidente ucraino il titolo della canzone del Rolling Stones: “You Can’t Always Get What You Want” (non puoi ottenere sempre ciò che vuoi).
Di interesse la conclusione della nota: “Quindi per il presidente Zelensky è forse arrivato il momento per un più attento controllo diplomatico della realtà, prendendo atto che le pressioni politiche interne stanno iniziando a farsi sentire in Occidente, pressioni che daranno forma all’ambiente politico globale in cui dovrà agire d’ora in poi. Una lezione sul fatto che non puoi sempre ottenere quello che vuoi”. Considerazioni criptiche, ma neanche tanto.