L'Arabia Saudita e la guerra in Siria
Tempo di lettura: 2 minutiUn articolo di Daniel McAdams, direttore esecutivo del Ron Paul Institute for Peace and Prosperity, è stato pubblicato il 25 ottobre sul sito RT.com (canale d’informazione russo in lingua inglese) con il titolo Behind the Saudi crack-up.
Quando ai primi di agosto il capo dell’intelligence saudita Bandar bin Sultan ha incontrato Putin a Mosca, «come Mefistofele» avrebbe cercato di “sedurlo” offrendo alla Russia una serie di vantaggiose garanzie in cambio del ritiro dell’appoggio ad Assad: acquisto di armamenti russi, una maggiore influenza russa nell’area mediorientale e anche che «ai jihadisti controllati dai sauditi nel Caucaso sarebbe stato messo un guinzaglio per la durata dei Giochi olimpici invernali a Soči».
Indiscrezione sensazionale, salvo essere smentita dallo staff di Putin una settimana più tardi: la conversazione tra i due si era svolta solo su «argomenti “filosofici”».
«Tuttavia, gli elementi della segnalazione originale sembravano quasi preveggenti. Secondo le “fonti diplomatiche”, citate nella prima relazione, Bandar bin Sultan aveva avvertito Putin che la situazione in Siria stava per cambiare radicalmente. L’unica soluzione in Siria era quella militare, in quanto l’opposizione non si sarebbe seduta al tavolo dei negoziati». Insomma, una sorta di ultima chiamata alla Russia prima del cambio di regime in Siria. «Ed ecco, appena tre settimane dopo, il 21 agosto, che un attacco chimico nel sobborgo di Ghouta a Damasco ha spinto gli Stati Uniti e i suoi alleati sull’orlo di un attacco alla Siria». […] Questo attacco a Ghouta è stato un piano saudita? La Voce della Russia [network governativo russo, ndr.] all’inizio di questo mese ha riferito che una squadra per operazioni segrete è stata inviata dall’Arabia Saudita in Siria attraverso la Giordania per lanciare ciò che ha chiamato la “provocazione”. Chiaramente aveva poco senso per il governo siriano lanciare un massiccio attacco chimico appena arrivati gli ispettori ONU».
La ferma posizione russa che ha portato alla sospensione dell’attacco Usa alla Siria «ha cambiato i calcoli nella regione». L’Arabia Saudita ha reagito con una serie di prese di posizione sorprendenti. Innanzitutto rifiutando il seggio non permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu che le era appena stato assegnato. «Per inviare “un messaggio agli Stati Uniti, non all’ONU” ha detto nientemeno Bandar bin Sultan. Pochi giorni dopo l’ex capo dell’intelligence, principe Turki al-Faisal, ha espresso “un alto livello di delusione nei rapporti con il governo degli Stati Uniti”, particolarmente su Siria e Palestina e ha promesso di declassare le relazioni con gli Stati Uniti. L’Arabia Saudita pare sia furiosa per il mancato attacco degli Stati Uniti contro la Siria e l’insufficiente supporto militare per i jihadisti che lottano per rovesciare il governo di Assad». Continua l’autore: «Cosa c’è dietro questo crollo nervoso saudita? Frustrazione e disperazione, forse. Un arrogante piano di rifare il Medio Oriente attraverso conti bancari senza fondo è venuto (temporaneamente) a schiantarsi a terra. L’Arabia Saudita ha limitate forze armate, pochi amici arabi e una improvvisamente ridotta influenza nella regione. Ma i sauditi, come i loro alleati nei circoli neoconservatori statunitensi e israeliani, non si arrendono facilmente».