L'assedio di Gaza e le incertezze sull'invasione di terra
Riportiamo dal Time: le agenzie umanitarie “hanno accusato Israele di usare la fame come arma di guerra perché i convogli umanitari verso Gaza arrivano col contagocce e i residenti protestano per la crescente carenza di cibo e acqua”.
“Secondo i funzionari delle Nazioni Unite, il numero di camion ammessi al valico di frontiera dell’Egitto è sceso a otto o dieci al giorno. Ciò significa che nell’ultima settimana sono arrivati aiuti molto minori rispetto a quanti avrebbero dovuto essere consegnati ogni 24 ore in accordo con la svolta sugli aiuti negoziata dal presidente Biden nel corso della sua visita in Israele”.
“Le agenzie umanitarie hanno aggiunto che le panetterie sono state colpite dai raid aerei israeliani. ‘In attesa della offensiva di terra da parte di Israele, la fame viene usata come arma di guerra dal momento che i panifici sono diventati un obiettivo dei bombardamenti indiscriminati e affrontano gravi carenze di carburante’, ha affermato Action Aid in una nota”.
“Oxfam ha comunicato che solo il 2% delle normali forniture alimentari è stato consegnato a Gaza da quando il confine è stato chiuso all’inizio della crisi. ‘Mentre l’escalation del conflitto si estende al suo 19° giorno, ben 2,2 milioni di persone hanno urgente bisogno di cibo’, si legge nella nota. ‘Prima delle ostilità, ogni giorno 104 camion fornivano cibo alla Striscia di Gaza assediata, un camion ogni 14 minuti. Nonostante il fatto che da questo fine settimana sia stato consentito a 62 camion di aiuti di entrare nel sud di Gaza attraverso il valico di Rafah, solo 30 contenevano cibo e, in alcuni casi, anche altro’” (medicine, carburante etc).
L’attacco di Hamas e la pulizia etnica della Striscia
Riportiamo da The Intercepet: “Il Misgav Institute for National Security Zionist Strategy, un think tank israeliano, ha pubblicato la scorsa settimana un documento in cui si afferma che, dopo i feroci attacchi di Hamas del 7 ottobre, ‘c’è un’opportunità unica e rara per evacuare l’intera Striscia di Gaza’”.
“Il documento continua: ‘Non c’è dubbio che affinché tale piano sia realizzato, devono coesistere, in parallelo, varie condizioni. Al momento tali condizioni sussistono e non è chiaro quando si ripresenterà un’opportunità come questa, semmai si ripresenterà’. Circa 1.400 israeliani sono stati uccisi durante l’attacco iniziale”.
“Il think tank sostiene un progetto bizzarro che prevede che Israele realizzi una pulizia etnica dell’intera Gaza pagando l’Egitto perché accolga i suoi attuali abitanti in appartamenti in questo momento vuoti presso il Cairo. (L’articolo è stato segnalato e tradotto dall’ebraico da Mondoweiss)”.
“L’Istituto Misgav è diretto da Meir Ben Shabbat. Ben Shabbat nel 2017 è stato nominato dal premier Benjamin Netanyahu a capo dello staff israeliano per la sicurezza nazionale, carica ricoperta per i successivi quattro anni. In precedenza era stato un alto funzionario dello Shin Bet […]. Altri autorevoli esponenti di precedenti governi israeliani hanno ricoperto posizioni di rilievo presso l’istituto, come spiega Mondoweiss”.
Il programma del Misgav non è un programma ufficiale del governo, ovviamente. Ma non può non far riecheggiare nella memoria l’intervento del mese scorso all’ONU di Netanyahu, nel quale, illustrando il nuovo Medio oriente, il premier israeliano mostrò una carta geografica nella quale i territori palestinesi erano inglobati in Israele.
Peraltro, le pulsioni per attuare l’annessione sono alquanto diffuse. Due dei partiti di ultra-destra attualmente al governo da tempo intendono imporre la piena sovranità israeliana su tutti o su parte del territori palestinesi.
Un altro esempio in tal senso è offerto dall’intervista rilasciata a Politico dall’ex capo dell’intelligence militare israeliana Amos Yadlin: “Se attacchi Israele, il prezzo è alto”. La tua organizzazione verrà distrutta. Israele non restituirà tutti i territori” Non torneremo ai confini del 2005 [del ritiro di Israele da Gaza]”.
I rischi di un’invasione di Gaza e il dialogo Usa-Russia
In questa guerra s’intrecciano tante spinte e confliggono contraddizioni laceranti a causa dell’orrore suscitato dalla strage del 7 ottobre e altro. E quella che è stata annunciata come un’operazione anti-terrorismo e per la sicurezza di Israele può trasformarsi in tutt’altro: vendetta (vedi anche Iris Leal su Haaretz) o, addirittura, genocidio, perché tale connotato rischia di assumere la mattanza di civili palestinesi e, se avverrà, l’espulsione dalle loro terre.
A infittire la nebbia di guerra, la vaghezza dell’obiettivo che si propone la leadership israeliana, confusione ben descritta in un articolo del New York Times che registra la dialettica tra i militari e Netanyahu, con quest’ultimo che frena l’attacco di terra in accordo con i suggerimenti di Washington.
“Gli Stati Uniti – scrive infatti il NYT – hanno esortato Israele a non precipitarsi in un’invasione di terra […] ma nel ritardo hanno avuto un peso anche considerazioni interne [a Israele]. Al di là degli ostaggi, c’è la preoccupazione per il costo dell’operazione e l’incertezza su cosa significhi esattamente distruggere Hamas, un movimento sociale nonché una forza militare profondamente radicata nella società di Gaza”.
Sul costo di un’invasione massiva di Gaza, un articolo di Ryan Grimm pubblicato il 23 ottobre su The Intercept, che annota l’irritazione che sta provocando in Israele la spinta di alcuni esponenti politici della sinistra del partito democratico Usa per favorire un cessate il fuoco.
“Forse ironicamente” scrive Grimm, proprio tale ambito descritto come anti-israeliano, “nel chiedere un cessate il fuoco, sta lavorando per salvare Israele dall’incombente catastrofe di un’invasione di terra”.
“Questo fine settimana, la Commissione per le Forze Armate della Camera è stata informato dal Pentagono sulla situazione e sulle prospettive della campagna bellica di Israele. Le persone presenti al briefing hanno detto a me e al mio collega Ken Klippenstein che il Dipartimento della Difesa è molto più pessimista sull’imminente invasione di terra di quanto abbia dichiarato pubblicamente”.
Intanto, ieri la visita di un’alta delegazione di Hamas a Mosca. L’incontro arriva il giorno dopo l’annuncio da parte della Federazione russa di aver ricevuto dagli Stati Uniti un invito a riprendere il dialogo sulla “stabilità strategica“.
A tema il rischio nucleare, che negli ultimi tempi si è alzato a motivo del collasso dei rapporti tra le due potenze e del decadimento dei trattati volti a contenerlo. Ma è ovvio che la stabilità del mondo adesso è messa a repentaglio da una possibile conflagrazione ad ampio raggio in Medio oriente. Così l’invito appare un tentativo di cercare sponde, nel segreto, per evitare il peggio. Da qui la visita di Hamas. Vedremo.