Atlantismo: tra realismo e missione per l'anima del mondo
Tempo di lettura: 3 minutiSu National Interest, Arta Moeini e Christopher Mott, dell’Institute for Peace & Diplomacy, descrivono i rischi derivanti dall’attuale deriva idealista dell’Impero americano. Una nota che inizia derubricando a boutade propagandistica l’idea che l’ordine liberal-democratico sia di per sé apportatore di pace, come d’altronde racconta la storia.
In realtà gli Stati, liberali e illiberali che siano, si muovono secondo dinamiche altre dall’ideologia, cioè in base a interessi, ricerca di sicurezza e implementazione della sfera d’influenza, o “ricerca di gloria”, come nel testo che sintetizziamo brutalmente per necessità (rimandando all’integrale, davvero interessante). Ciò implica che lo spazio geopolitico è anarchico per natura, data la divergenza e la conflittualità degli interessi dei singoli Stati.
Il momento unipolare e la storia
Invero, se parliamo di un ordine liberale e di una pax americana, tale ordine e tale pax non sono nati dalla convergenza di Paesi che condividevano gli stessi valori, quanto dall’accettazione della supremazia americana sull’Occidente, dopo che la Seconda Guerra mondiale aveva dato agli Usa “un controllo quasi egemonico sul sistema internazionale”, al quale Washington ha imposto delle regole “secondo i propri interessi”.
Tale ordine, ha vissuto il suo momento di gloria nell’89, con la caduta dell’Urss. che ha consegnato agli Usa e il mondo al “momento unipolare” che sembrava dovesse segnare la fine della storia.
Non è andata così e oggi tale ordine è messo in crisi dal nuovo multirateralismo. E si pone il dilemma se gli Stati Uniti e i loro alleati debbano affrontare la nuova realtà a partire dall’ideologia liberaldemocratica condivisa o se affrontarla in base al realismo politico.
“Basare le alleanze sull’ideologia piuttosto che sull’interesse degli Stati – si legge sul NI – rende ciechi rispetto alle realtà imposte dalla grande competizione di potere e alle considerazioni di segno moralmente neutrale (grandi o minime che siano) che sono alla base del processo decisionale degli Stati, sia ‘liberali’ che ‘illiberali'”.
“[…] Costruire un’alleanza sulla presunzione di una condivisione di valori e di un assolutismo morale rischia di realizzare un ambito [globale] in cui le differenze ideologiche tra gli Stati vengono esagerate e gonfiate in ‘minacce’ per sabotare la Diplomazia nel confronto con gli avversari ideologici, anche quando l’interesse strategico imporrebbe altro”. In tal modo gli antagonisti geopolitici non sono individuati come tali, ma diventano “atroci minacce esistenziali”.
“Se i paesi del Nord Atlantico sono seriamente intenzionati a mantenere la rete di alleanze come risorsa strategica, sarebbe saggio per queste nazioni vedere tali accordi per quello che sono – aggregazioni di interessi per ottenere risultati geopolitici desiderati – piuttosto che una crociata idealistica e utopica per l’anima del mondo o come strumento per promuovere principi universali astratti e imporre” i propri valori ad altri.
L’ineluttabile caducità
Da qui si dipanano alcune considerazioni sulla realtà, dove nulla è “perfetto o assoluto o permanente”, condizione ineluttabile che si riflette “in maniera decisiva anche sulle vicende internazionali”, come dimostra peraltro l’ascesa e la scomparsa degli imperi del passato, consegnati necessariamente alla caducità.
“Ciò implica che è necessario guardare la politica internazionale attraverso la lente di un tragico realismo e abbandonare il tentativo idealistico di fondare la geopolitica su idee quali l’eccezionalismo, l’universalismo morale o lo zelo missionario”, dispiegati oltremisura negli ultimi anni dall’Impero americano.
“L’impossibilità di un assoluto nel mondo reale – prosegue il NI – significa che gli statisti sensati dovrebbero dismettere l’idea che il sistema internazionale sia un premio manicheo a somma zero da vincere per sempre“.
Come osservava Tucidide, lo storico dell’antica Grecia noto per il suo grande realismo, “la paura, l’interesse e l’onore sono i tre motori fondamentali dell’uomo, e l’arroganza è la causa della sua possibile rovina. Dato che gli Stati sono fatti dagli uomini, anch’essi si fondano questi tre fattori, che caratterizzano le dinamiche che li animano nel corso della loro navigazione sulle acque anarchiche del sistema internazionale, nel quale gli Stati più potenti spesso affondano non a causa degli antagonisti, ma per la propria stessa arroganza”.
“La lezione chiave di tale insegnamento – concludono gli autori – è che uno Stato che si ingrandisce in maniera esagerata riponendo un’eccessiva fiducia nelle proprie idee e e nelle proprie leggi, che si vellica nel suo narcisismo morale e si muove nel disprezzo dei limiti del proprio potere alla fine diventa millenario e si autodistrugge, perdendo le opportunità offerte dalla diplomazia e dal dialogo e rischiando escalation non necessarie con i rivali strategici. Sarebbe davvero tragico se il blocco nordatlantico seguisse questo percorso manicheo“.
Difficile trovare considerazioni tanto profonde in un media.