L'attacco iraniano a Israele, quando il mondo è cambiato
L’attacco di ritorsione dell‘Iran contro Israele del 13 aprile, deciso dopo il bombardamento dell’ambasciata iraniana di Damasco, è stato un evento di primaria rilevanza geopolitica, per tanti motivi. Anzitutto, la pubblica risposta iraniana ha rotto lo schema della guerra ibrida tra Israele, Occidente e Iran che da decenni viene condotta nell’ambiguità, con Tel Aviv che non rivendica i suoi attacchi per evitare che il nemico sia costretto a una risposta massiva.
Lo scienziato del Mit rilegge l’attacco
Ma, nel caso specifico, una reazione sottotraccia era praticamente impossibile, data la portata pubblica dell’attacco israeliano, voluta appositamente da Netanyahu per trascinare gli Usa in una guerra regionale.
Il secondo motivo è che la ritorsione iraniana ha dimostrato una capacità bellica che l’Occidente non ha mai ascritto all’avversario, una sorpresa che ha mutato le regole del gioco regionale.
Dopo il 13 aprile, una guerra all’Iran, obiettivo decennale da Netanyahu e dei circoli neoconservatori Usa e da tempo propagandata come un ulteriore, banale, capitolo delle guerre mediorientali condotte dagli Usa finora, non è più considerata tale, allontanando tale possibilità dall’orizzonte prossimo venturo, a meno che l’Occidente cada preda di pulsioni suicide.
Israele, infatti, anche se vincesse, ne uscirebbe devastata: cosa risaputa da tempo, ma tenuta segreta o derubricata a vano allarmismo fino al 13 aprile, quando tale realtà è diventata innegabile.
Su quanto accaduto, due testimonianze di grande interesse. La prima è del professor Ted Postol, esperto del Mit che ha studiato l’attacco, una combinazione di missili e droni, dimostrando che non è vero che il 99% dei vettori sono stati intercettati, come da report israeliani ripresi acriticamente in Occidente.
Infatti, l’analisi video dimostra che, mentre i droni sono stati per lo più intercettati prima che arrivassero su Israele dall’aviazione Usa, britannica e francese che vigilava al fuori del territorio israeliano, alcuni di essi e forse tutti i missili sono andati a bersaglio.
Nella sua esposizione, anche altri particolari: I 70 droni intercettati dall’aviazione Usa hanno comportato una spesa enorme, perché per ogni drone Shaed intercettato, dal costo che oscilla dai 10mila ai 30mila dollari, sono stati impiegati missili aria-aria da mezzo milione di dollari, i Sidewinder.
Ancora, per difendere il proprio territorio dai droni residui che ne solcavano i cieli, Tel Aviv ha dovuto impiegare il 50% delle sue risorse anti-aeree, il che vuol dire che, se i droni fossero stati più numerosi, le difese non avrebbero potuto far nulla. Peraltro, i video dimostrano che alcuni missili, o forse droni, non sono stati neanche visti dalle difese, colpendo indisturbati.
Tutto ciò, nonostante l’attacco fosse stato preannunciato, tanto che erano state allarmate tutte le forze alleate di Israele nella regione. Un attacco a sorpresa avrebbe avuto ben altre conseguenze, spiega Postol.
La fitta rete difensiva di Israele bucata dai missili
Di uguale tenore, anche se da accogliere al netto della retorica propagandistica, la spiegazione del parlamentare iraniano Mahmoud Nabavian su The Cradle, che ha il merito di ricostruire anche l’interazione tra Teheran e l’Occidente prima dell’attacco a Israele.
Anzitutto, Nabavian ricorda che l’Iran, dopo il raid contro la sua ambasciata, si era rivolto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu perché lo condannasse ai sensi del diritto internazionale, incontrando il niet di Stati Uniti, Francia Germania e Gran Bretagna.
Quindi, la proposta di riporre le pistole nelle fondine in cambio di un cessate al fuoco a Gaza (in tal caso la risposta di Teheran sarebbe stata solo simbolica). Pare che Biden avesse rassicurato che si sarebbe mosso in tale direzione, con rassicurazioni che, però, data l’evidente ambiguità Usa sul conflitto di Gaza, non avevano convinto nessuno (difficile dargli torto).
Quindi, la minaccia di Washington: se Teheran avesse reagito, sarebbe intervenuta. Minaccia sulla quale Teheran è rimasta ferma, avendo risposto che, in tal caso, avrebbe colpito le basi americane nell’area, posizione manifestato anche ai Paesi della regione che le ospitano.
Infine, la proposta indecente, cioè di evitare un attacco dall’Iran, ma di reagire attraverso uno dei suoi alleati, nello specifico Hezbollah. Richiesta insistente e respinta al mittente perché, secondo il politico iraniano, aveva il palese “scopo di macchiare la reputazione di Hezbollah e spingere Israele a prendere di mira la milizia e altre forze della resistenza nella regione e a dipingerli come mercenari dell’Iran” (infatti, Hezbollah è rimasto quasi inattivo durante l’attacco).
Altro tentativo di deviazione, la richiesta dell’Azerbaigian di non colpire l’ambasciata israeliana ubicata sul suo territorio. Un passo che Nabavian, spiega così: “Penso che l’avvertimento celasse un messaggio, che cioè avrebbero potuto chiudere un occhio nel caso avessimo colpito obiettivi israeliani in un paese vicino”. Tale paura-speranza si era diffusa, con Israele che aveva chiuso molte delle sue ambasciate. È ovvio che se Teheran avesse reagito in tal modo, la sua azione sarebbe stata bollata come atto terroristico e avrebbe scatenato panico e reazioni in tutto l’Occidente.
Pressioni e tentativi di deviazione vani, quindi l’attacco, che Nabavian descrive con certo dettaglio. Anzitutto afferma che i l’Iran ha lanciato 17 missili, dei quali solo due sono stati intercettati. Cioè sarebbero andati a bersaglio l’89% di questi vettori, tutti indirizzati contro la base aerea di Nevatim e una base dell’intelligence israeliana, entrambe collegate all’attacco all’ambasciata iraniana di Damasco.
Di interesse l’altra annotazione sull’attivazione degli alleati di Israele: “Hanno equipaggiato sei lanciamissili nelle acque della regione, con una portata compresa tra i 2.000 e 3.000 chilometri. Hanno usato tutti i più moderni satelliti e radar, fatto alzare in volo 103 aerei per colpire i nostri missili e hanno messo tutti i sistemi di difesa aerea sotto un comando unificato, sotto la supervisione degli Stati Uniti, per affrontare i missili iraniani in più fasi. Cioè, se i missili fossero riusciti a oltrepassare una linea di difesa, sarebbero stati presi di mira e abbattuti successivamente”.
Uno schema credibile. Ma risultato evidentemente poco efficace… Non si tratta di magnificare la sofisticata macchina bellica iraniana, solo di dar conto di una realtà mutata con la quale fare i conti. Non con la Forza, come si Usa negli ultimi anni, ma con le armi della diplomazia, meno disastrose per tutti.