L'attentato a Beirut e la missione di Brahimi per la pace in Siria
Tempo di lettura: 2 minutiWisan al Assan, il capo dei servizi segreti libanesi rimasto vittima dell’attentato che ha sconvolto la fragile pace del Paese dei cedri, era vicino a Saad Hariri. «Tutto semplice, quindi, perché Wissan – sunnita e nemico della Siria – aveva fatto arrestare un ministro libanese che di fatto era al servizio del clan di Bashar al Assad. È tutto così chiaro che, conoscendo il Libano, c’è da affidarsi a qualche legittimo dubbio. Infatti l’attentato era annunciato da tempo e ci si domandava quando sarebbe esplosa la bomba». Così Danilo Taino sul Corriere della Sera del 21 ottobre.
Poi, dopo aver accennato che «la guerra per procura che si combatte in Siria» da tempo ha varcato le frontiere libanesi – in un crescendo di scontri tra filo-Assad e sostenitori dei ribelli -, il cronista si domanda: «Chi ha messo la bomba il 19 ottobre? Gli indiziati non sono molti, ma uno si impone sugli altri: il regime di Damasco, che per proteggersi vuole allargare il conflitto e scatenare il terrore nel vicino Paese (..). C’è, però, altrettanto insidiosa, la rete che protegge, alimenta e finanzia – via Libano – gli oppositori siriani, con i robusti aiuti provenienti da Arabia Saudita e Qatar, i quali hanno interesse ad accusare Assad e i suoi di essere gli unici artefici della carneficina. Poi si può pensare a Hezbollah, partito politico e milizia legatissima all’Iran e alleata del regime di Damasco, che condiziona il governo libanese e obbedisce a Teheran, che ieri ha accusato Israele per la strage di Beirut. C’è infine il sospetto che molti (troppi) nella regione intendano boicottare la missione dell’inviato dell’Onu e della Lega Araba Brahimi, che non sarebbe lontano da un cessate il fuoco».