Le armi a Kiev e il pericolo di armare terroristi e neonazisti
Tempo di lettura: 4 minuti“L’Ucraina può vincere questa guerra“, Così il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al vertice che ha riunito i ministri degli Esteri dei Paesi membri. Benzina sul fuoco, gettata anche per gelare la piccola speranza destata dalla telefonata tra i ministri della Difesa russo e americano del giorno precedente.
Per il resto, nulla di nuovo sul fronte orientale, dove il conflitto è raccontato in maniera diversa dalle opposte propagande, con conseguenti difficoltà per capire cosa sta realmente accadendo. Gli ucraini hanno lanciato una controffensiva presso Karkhiv e i russi continuano a guadagnare terreno nel Donbass, nell’idea di attestarvisi. Tutto qui.
Nel frattempo, la richiesta di adesione di Svezia e Finlandia nella Nato, cosa che più che semplificare, complica. La Russia si è detta pronta a rispondere con misure tecniche-militari, ma non sembra sia nell’aria l’apertura di un nuovo fronte. Piuttosto sembra a tema un ridispiegamento di forze ai confini (cosa, comunque, negativa per Mosca, che deve dissipare risorse e disperdere forze).
Di interesse un articolo del Washington Post sull’invio degli aiuti militari all’Ucraina: lo stanziamento monstre di 40 miliardi di dollari fa “dell’Ucraina il più grande destinatario del mondo dell’assistenza militare degli Stati Uniti, avendo ricevuto nel 2022 più di quanto gli Stati Uniti abbiano mai fornito ad Afghanistan, Iraq o Israele in un solo anno”.
Ma “l’afflusso senza precedenti di armi ha suscitato il timore che alcune attrezzature possano cadere nelle mani dei nemici dell’Occidente o riemergere in altri conflitti in futuro, per i decenni a venire“.
Prospettiva drammatica quanto realistica, perché “è semplicemente impossibile tenere traccia non solo di dove stanno finendo [tali armi] e di chi li stia usando, ma anche di come vengono utilizzate” come ha dichiarato al WP Rachel Stohl, esperta di controllo degli armamenti e vicepresidente dello Stimson Center.
Non solo le difficoltà del momento. Va tenuto presente che “il mercato illegale delle armi dell’Ucraina è cresciuto a dismisura dall’invasione iniziale della Russia nel 2014, alimentato da un’eccedenza di armi disperse nel territorio e dai controlli limitati” (i media Usa continuano a parlare di invasione russa del 2014, ma quanto è avvenuto è molto diverso e articolato… detto questo, non è questa le sede per dilungarsi).
Le autorità americane hanno dichiarato che il flusso di armi è monitorato, ma gli esperti interpellati dal Wp spiegano che ciò è letteralmente impossibile. Peraltro, “il compito di garantire che le armi statunitensi vengano utilizzate per lo scopo previsto […] è reso ancora più difficile dall’enorme volume di armi che si stanno dirigendo verso l’Ucraina”.
Così ad esempio, “I missili Stinger a spalla, capaci di abbattere aerei di linea e commerciali, sono solo uno dei sistemi d’arma che gli esperti temono possano entrare in possesso di gruppi terroristici che progettano attentati di massa”.
“Il governo degli Stati Uniti sta volando alla cieca in termini di monitoraggio delle armi fornite alle milizie civili e ai militari in Ucraina”, rincara la dose William Hartung, esperto di controllo degli armamenti presso il Quincy Institute.
Le rassicurazioni dell’amministrazione Usa, benché reiterate, “non ispirano molta fiducia”, ha ribadito Stohl. Inoltre, “non è chiaro quali misure di mitigazione del rischio o quale monitoraggio sia stato adottato gli Stati Uniti o altri paesi, o quali rassicurazioni abbiano ottenuto perché sia garantita la protezione dei civili nonostante i più che ingenti trasferimenti” di armi, ha dichiarato Annie Shiel, consulente del Center for Civilians in Conflict.
In particolare, gli esperti contattati dal Wp chiedono “rassicurazioni sul fatto che tutte le forniture di armi abbiano solide procedure di tracciamento, obblighi in materia di diritti umani inclusi nei contratti di vendita e indicazioni specifiche su quali unità siano autorizzate a riceverle”.
Sul punto, un cenno di grandissimo interesse: “Nel 2018, il Congresso ha vietato al battaglione Azov ucraino, un gruppo nazionalista di estrema destra associato al neonazismo, di ricevere armi statunitensi“.
Bizzarro, il neonazismo ucraino per i media maintream non esiste, eppure nel 2018, il battaglione Azov, oggi indicati come gli eroi di Mariupol, era stato classificato tale e pericoloso addirittura dall’Fbi..
Bizzarrie della propaganda. D’altronde, il rapporto controverso degli apparati Usa con il nazismo in chiave di contrasto alla Russia appartiene alla storia.
Infatti, a dirigere la sezione della Cia che al tempo si occupava di spiare l’Urss e i Paesi del Patto di Varsavia, fu per anni Reinhard Gehlen, già responsabile per la Germania nazista della rete di spionaggio sul fronte orientale, rete poi passata con lui al servizio della Nato.
Questa storia disdicevole ha un’appendice ucraina, dove la resistenza al regime filo-russo fu guidata da Mykola Lebed, presidente della Prolog Research and Publishing Association, che dagli Stati Uniti tirava le fila del dissenso ucraino.
Lebed fu presidente della Prolog fino a metà degli anni ’80, quando il suo passato iniziò a emergere fino a diventare di dominio pubblico grazie a un servizio di The Voice.
Così l’Associated Press del tempo: “The Voice ha affermato che Mykola Lebed, di 75 anni, guidava le forze di sicurezza di una fazione dell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini che collaborava con i nazisti. Il gruppo ha commesso atrocità contro ebrei, intellettuali, comunisti e altre forze nazionaliste, secondo i documenti citati da The Voice. Inoltre, il settimanale ha accusato Lebed di aver frequentato una scuola della Gestapo in Polonia”.
L’Ap spiega che l’ex criminale nazista, che ovviamente si è difeso come ha potuto, fu coperto dalla Cia, che alle inchieste su Lebed effettuate dall’organismo di controllo dell’immigrazione avocò la segretezza per motivi di “sicurezza nazionale” (formula magica che tutto copre).
Ancora, riportiamo dal Nyt: “Nel 1985, un rapporto della Ragioneria Generale del Congresso descriveva Lebed come un collaboratore dei nazisti, criminale di guerra e terrorista, condannato a morte in Polonia nel 1934 per aver complottato per omicidio e reclutato in seguito dall’Agenzia [la Cia] per realizzare operazioni anticomuniste”.
Quella di Lebed non è una figura qualsiasi, anche per l’importanza dell’organismo che ha presieduto, alquanto strategico nell’economia della Guerra Fredda. Lo spiega uno studio di ScienceDirect: “La Prolog ha dimostrato di avere più successo nella sua strategia di liberazione riuscendo a fornire un notevole supporto tecnico, editoriale e finanziario ai dissidenti e alle correnti di opposizione all’interno del Partito Comunista ucraino”.
All’opposto di altri movimenti nazionalisti ucraini, spiega ancora SD, la Prolog non usava la tecnica dell’infiltrazione negli apparati nemici, troppo spesso scoperti, ma i metodi suddetti, che ne fecero l’organo sul quale la Cia più puntò per far fronte al nemico….
Insomma, il rapporto tra gli apparati Usa e il nazismo ucraino appare di lunga durata e imbarazzante, da cui la necessità di tenerlo segreto a ogni costo. Soprattutto adesso che c’è la guerra.