L'emergenza alimentare a Gaza
Non c’è fame a Gaza è uno dei tanti temi base della propaganda israeliana, la Hasbara, come la chiamano, che a volte riecheggia nelle parole e nei comunicati di Washington. Dahlia Scheindlin pubblica su Haaretz: “Dentro l’inquietante negazione della fame a Gaza da parte di Israele”, articolo nel quale dettaglia la catastrofica emergenza alimentare dei palestinesi.
I dati dell’emergenza alimentare
Innanzitutto le valutazioni dell’ICP (classificazione integrata delle fasi di sicurezza alimentare), che “ha rilevato come il 70% degli abitanti di Gaza nel nord (circa 210.000 persone) si trovano ad affrontare la Fase 5 dell’insicurezza alimentare, cioè la catastrofe. Nelle regioni meridionali, dove le tante voci dell’hasbara sostengono con forza che i mercati sono aperti e il cibo è abbondante, il rapporto ha rilevato che i governatorati di Deir al-Balah, Khan Yunis e Rafah sono nella Fase 4 – stato di emergenza. Ma tutta Gaza si trova ad affrontare una grave insicurezza alimentare”.
“L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che il rapporto dell’IPC corrisponde alla sua esperienza diretta nel corso del servizio prestato alle popolazioni di Gaza dall’inizio della guerra. L’ OMS ha affermato che ‘il rapporto dell’IPC conferma ciò che noi, i nostri partner delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative (ONG) stiamo osservando e denunciando da mesi. Quando le nostre missioni raggiungono gli ospedali, incontriamo operatori sanitari esausti e affamati che ci chiedono cibo e acqua”.
Impressionante anche il recente sondaggio del “Palestinian Center for policy and survey research” condotto da Khalil Shikaki all’inizio di marzo secondo il quale “solo un terzo, se non meno, dei palestinesi di Gaza aveva acqua e cibo disponibili” – la maggioranza ha affermato che potevano accedervi “con grandi difficoltà e rischi”, mentre il 13% ha affermato che non avevano affatto disponibilità di acqua e cibo. Il 27% degli interpellati ha aggiunto che l’assistenza medica non era disponibile. La stessa percentuale ha detto lo stesso riguardo ai servizi igienici; solo il 24% ha dichiarato che ne aveva. Questa è una formula per la morte”.
Così Philippe Lazzarini Commissario generale dell’UNWRA su X: “la settimana scorsa tutti i convogli alimentari dell’UNRWA diretti al nord di Gaza sono stati bloccati”. Negli stessi giorni, gli Stati Uniti bloccavano i finanziamenti all’Unwra fino al 2025. Riprenderanno, sempre se accadrà, quando la popolazione della Striscia sarà sfoltita…
La conta dei camion.
D’altronde, è dall’inizio della guerra che Israele ostacola l’accesso degli aiuti a Gaza, come denuncia la cronista di Haaretz, la quale ricorda la foto che immortala il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres che, impotente, osservava l’interminabile fila di camion bloccati dalle autorità israeliane al valico di Rafah.
La Scheindlin smonta anche la narrativa israeliana sull’elevato numero di camion che sarebbero stati fatti entrare in questo mese. Entrano col contagocce, dopo aver subito (legittime) perquisizioni accurate. Ma il diavolo sta nei dettagli, dal momento che “possono essere respinti anche solo per un paio di forbici chirurgiche – che sono classificate [pericolose perché] di duplice uso”.
Ma anche tali forbici sono necessarie, scrive la cronista, perché “la carestia non può essere affrontata senza un’assistenza medica adeguata; mentre la mancanza di acqua pulita fa sì che il cibo che deve essere cotto in acqua non può essere utilizzato come dovrebbe” (la farina, ad esempio).
Infine, la Scheindlin ricorda il comunicato del coordinamento israeliano i territori, secondo il quale “il numero di camion di aiuti alimentari che entrano a Gaza è attualmente di 126 al giorno, cioè superiore a quello dei camion che entravano prima della guerra”.
Anche fosse vero (e la succitata foto di Guterres stride con tale affermazione), è ancor più vero quanto annotato su X da Tania Hary, direttrice di GISHA (l’organizzazione israeliana per i diritti umani che si dedica su Gaza) e rilanciato dalla Scheindlin: “Il paragone non ha senso perché prima della guerra non c’erano quasi 2 milioni di sfollati ed esisteva una produzione alimentare e agricola locale… Le necessità sono aumentate in modo esponenziale; non si può fare un paragone con la domanda prebellica, che peraltro anche allora non veniva soddisfatta”.
Tale la catastrofe, tale la follia che si sta consumando nella Striscia con la connivenza di tanto potere, politico e mediatico, dell’Occidente.