L'escalation atomica di Kiev e i negoziati di Doha
Il 17 agosto un drone ha attaccato e fatto esplodere un ordigno “appena fuori dall’area protetta” della centrale nucleare di Zaporizhye, riferisce l’Agenzia per l’energia atomica (AIEA).
“L’impatto è avvenuto vicino agli essenziali stagni di raffreddamento dell’acqua e a circa 100 metri dalla linea elettrica di Dniprovska, l’unica linea elettrica, da 750 kilovolt (kV), che rifornisce di energia” la centrale atomica. Tale energia serve a mantenere l’impianto in sicurezza, dal momento che, benché ormai disattivo, il combustibile radioattivo pregresso deve rimanere in sicurezza, pena la perdita di radiazioni.
L’allarme atomico e l’indifferenza dell’Occidente
L’AIEA, al solito, omette di dare un nome al colpevole di tale azione, cioè Kiev, che più che un’operazione di guerra sta mettendo in atto un crimine contro l’umanità, dal momento non è un accidente casuale, ma qualcosa che essa sta perseguendo con certa pervicacia.
Infatti, un drone ha colpito e incendiato parte della struttura già l’11 agosto, un ripiego, dal momento che in quel giorno le forze ucraine contavano di prendere il controllo della centrale atomica di Kurčatov, nella regione di Kursk. Obiettivo sfumato, ma al quale, a quanto pare, non hanno rinunciato.
Di ieri, infatti, l’allarme di Mosca su un possibile attacco all’impianto di Kursk, con Kiev che ha negato, bollando l’accusa come “folle” propaganda (Sky). E, però, resta l’intensa attività militare contro la centrale di Zaporizhye che non si può negare, perché certificata dall’AIEA, e che non è certo opera dei russi che la controllano.
Data tale attività, le accuse russe per quanto riguarda la centrale di Kursk acquistano un altro valore. Quantomeno, i sostenitori di Kiev, senza i quali essa non potrebbe sussistere, dovrebbero non accontentarsi del diniego in questione e verificare se ci sia del vero nelle accuse; oltre, ovviamente, a intimare alle autorità ucraine di recedere dagli attacchi diuturni all’impianto di Zaporizhye.
Invece, nulla, come se non stesse accadendo niente. Così, se i russi non dovessero riuscire a difendere le due centrali atomiche, il mondo si sveglierebbe tra qualche giorno alle prese con l’incubo nucleare. Tale la follia che alberga in Occidente.
A più riprese abbiamo scritto che l’attacco alla regione di Kursk, pur fallendo gli obiettivi prefissati, ha avuto certa efficacia grazie all’effetto sorpresa – scemato il quale, l’avanzata è stata rallentata, come scrive l’Economist (ripreso da Strana). Ma resta che, a meno di nuove sorprese, ora più difficili, si tratta di una mossa più che azzardata, che rischia di rivelarsi suicida.
Secondo diversi analisti, sta accadendo un po’ come avvenne per la strenua contesa per il controllo di Bakhmut, decisa da Zelensky nonostante gli insistiti appelli riservati da parte dei suoi generali e del Pentagono a ritirarsi, che fiaccò le forze ucraine tanto da rendere più velleitaria di quanto già non fosse la famosa controffensiva di primavera, respinta prima ancora di iniziare.
Così il folle attacco di Kursk richiede una spiegazione più consistente da quella data da Zelensky, secondo il quale serve a costringere la Russia a negoziare alle “sue condizioni” (Strana).
Le condizioni di Zelensky e quelle di Netanyahu
In una nota pregressa abbiamo riferito come il Washington Post, all’opposto di quanto dichiara Zelensky, abbia rivelato che l’attacco ha sabotato un negoziato ormai in fase avanzata – mancavano solo alcuni dettagli – che si era sviluppato tramite il Qatar tra Russia e Ucraina per far cessare gli attacchi alle rispettive centrali energetiche, con prospettive di pace più ampie.
E, sempre in altra nota, abbiamo scritto come la guerra ucraina richiami e rimandi alla criticità mediorientale, dove sono in corso altri conflitti (che poi è uno solo, ma su più fronti): quello aperto tra Hamas e Israele e quelli a minore intensità che vedono Israele contrapporsi a Iran, Hezbollah e Houti.
E, sempre con il Qatar a mediare, a Doha si sta giocando in questo momento la partita cruciale della conflittualità mediorientale, con i negoziati in corso tra Hamas e Israele, i quali potrebbero chiudere, per qualche tempo almeno, l’aspra contesa in corso.
Singolare, così, che le parole di Zelensky si attaglino anche al negoziato tra Hamas e Israele, con Netanyahu che vorrebbe che Hamas accogliesse una tregua alle sue condizioni.
Infatti, dopo che Hamas ha accettato la proposta avanzata a maggio dagli Stati Uniti a nome di Israele, Netanyahu ha cambiato le carte in tavola, aggiungendo altre condizioni che la controparte difficilmente accetterà, anzi diverse fonti indicano che le ha già rigettate, chiedendo invece l’attuazione degli accordi pregressi.
Nella nuova proposta di Netanyahu, infatti, a parte altri particolari meno cruciali, Hamas rileva che non c’è traccia di un cessate il fuoco permanente né del ritiro israeliano dalla Striscia, come da accordi precedenti (Axios).
In sostanza, il nuovo accordo consentirebbe a Netanyahu di liberare gli ostaggi in cambio di qualche centinaio di palestinesi (da bombardare in seguito), consegnandogli una schiacciante vittoria politica che metterebbe a tacere i suoi oppositori interni, i quali lo accusano appunto di aver abbandonato i prigionieri.
Secondo le nuove condizioni poste da Netanyahu, dopo l’avvenuta liberazione degli ostaggi, Israele potrebbe riprendere indisturbata la macelleria e ampliare il controllo sulla Striscia, in prospettiva di una prossima annessione.
Così le parole di Zelensky sul fronte ucraino sembrano riecheggiare i desiderata di Netanyahu sull’altro fronte, in una non casuale convergenza parallela tra i due conflitti che stanno incendiando la principale linea di faglia che separa l’Impero d’Occidente dagli imperi d’Oriente.