L'Europa e le bombe di Kiev
Tempo di lettura: 2 minuti«Nella settimana di Ferragosto 74 civili sono morti e 116 sono stati feriti nel corso dei combattimenti a Donetsk e Lugansk, Ucraina orientale. I numeri provengono dal dipartimento sanitario della regione del Donbass e sono assolutamente coerenti con l’ultimo rapporto compilato il 10 luglio scorso dal ministro della Sanità del governo di Kiev, Vasily Lazoryshynets. A quella data i morti senza divisa, uomini, donne e bambini, erano 500, a fronte di 892 vittime tra miliziani pro russi e soldati ucraini. Le immagini, le testimonianze provenienti dalle città assediate, non lasciano dubbi. I bombardamenti dell’esercito nazionale sono tutt’altro che “mirati”, come si usa dire in questi casi». Così inizia un articolo di Giuseppe Sarcina pubblicato sul Corriere della Sera del 17 agosto (Le bombe di Kiev sui civili: l’Europa intrappolata a Kiev).
Sarcina lamenta come il governo di Kiev non abbia «dedicato neanche una riflessione al referendum indipendentista organizzato nel capoluogo del Donbass», al quale hanno partecipato centinaia di migliaia di cittadini, «non agenti inviati da Vladimir Putin». E «adesso arriva la risposta di Kiev alla popolazione di Donetsk: i razzi, le granate, i rombi dei caccia» che stanno portando morte e terrore. «Questo fatto, nonostante sia così evidente, viene omesso con imbarazzo crescente dai governi occidentali».
E conclude: «A Donetsk una larga fascia di popolazione ha fin dall’inizio confidato in un intervento di Kiev nel segno della pacificazione e della democrazia europea. Si aspetta, o si aspettava, pace e democrazia, non razzi e granate».
Nota a margine. Ci siamo dilungati su tale articolo perché abbiamo atteso con ansia che sui giornali italiani uscisse qualcosa di tale onestà intellettuale. Inutile lamentare il sostegno della Russia ai secessionisti se dalla Ue, e dagli Usa, giungono a Kiev solo armamenti e militari per risolvere la questione ucraina sul piano militare. Servirebbero pressioni diplomatiche su Kiev perché si trovino altre strade per una riconciliazione pacifica, anzitutto la via del federalismo e dell’autonomia invocati all’inizio dei combattimenti dalle regioni ribelli. Statuti politici che appartengono alla storia della democrazia dell’Occidente.