Libano-Israele: la vittoria della diplomazia sulle ragioni della guerra
Tempo di lettura: 4 minutiL’accordo tra Libano e Israele sui confini marittimi dei due stati è stato salutato come “storico” dalle autorità di Israele e libanesi. L’intesa dovrebbe porre fine a lunghi mesi di tensione, che per poco non sono tracimati in una guerra aperta tra i due Stati, in particolare tra Hezbollah e Israele, da decenni contrapposti in singolar tenzone.
Perché a difendere le richieste del Libano è stata Hezbollah, che a un certo punto della contesa ha addirittura reso pubblico un filmato nel quale si vedevano chiaramente sia la piattaforma per l’estrazione del gas messa su da Israele nel mare conteso, sia le navi appoggio della stessa, oltre a quelle preposte alla sua sicurezza.
La lunga contesa Israele-Libano
Il video di Hezbollah rappresentava un avvertimento alla controparte a non proseguire nello sfruttamento dei giacimenti di gas che si trovano sotto quei fondali se non dopo un accordo con le autorità libanesi sui confini marittimi, oggetto di una lunga contesa tra le parti.
Dopo una trattativa estenuante, mediata da un motivato inviato americano, le parti hanno trovato un accordo, anche se le opposizioni israeliane, guidate da Netanyahu, hanno fatto fuoco e fiamme contro il governo, arrivando a minacciare che se avessero vinto le prossime elezioni, che si terranno a novembre, non riterranno vincolante l’intesa.
Così l’intesa deve superare altri ostacoli in Israele, sotto forma di ricorsi sulla sua legittimità e della richiesta di un referendum popolare che ne sancisca la validità, cosa che l’autorità giudiziaria ha ritenuto non necessaria, anche se deve ancora pronunciarsi in via ufficiale.
Tante sono le turbolenze che anche Hazbollah, che ha tenuto fermo il punto sostenendo con la sua forza militare i negoziatori libanesi, per bocca del suo leader Nasrallah, ha dichiarato di non considerare affatto conclusa l’intesa e di attendere che in Israele sia accettato in via definitiva quanto concordato tra le parti.
Proprio la visibilità di Hezbollah in questa trattativa ha reso tutto più complicato, offrendo ai partiti di opposizione israeliani materiale per accusare il governo di cedimento di fronte al nemico storico.
Gas, limes e conflitti irriducibili
Ma, almeno per ora e a meno di rivolgimenti futuri, sembra che tutte queste polemiche e le azioni di disturbo siano state superate e che i due Paesi possano contare sull’accordo.
Un’intesa importante sotto due profili. Anzitutto perché la questione dei confini, il limes, in Israele è tema delicatissimo. Basti pensare alla irrisolta questione palestinese, che si gioca tutta sulla controversia sui confini (sulla dolorosa lotta tra i due popoli, che in questi ultimi mesi si è ulteriormente incendiata, con vittime da una parte e dall’altra – e molte più palestinesi che israeliane – rimandiamo alle drammatiche cronache, non essendo oggetto di questa nota).
Inoltre, l’accordo dovrebbe permettere ai due Paesi di sfruttare in pace i giacimenti di gas che si trovano sotto i fondali del mare che bagna entrambi, particolare che ha giocato un ruolo certo non secondario nel convincere Israele a chiudere una volta per tutte la controversia, con urgenza alimentata esponenzialmente dalla fame di energia globale prodotta dal conflitto ucraino.
Per quanto riguarda il Libano, preda di una crisi economico-finanziaria che sembra non conoscere fine, l’accordo rappresenta una boccata di ossigeno di non poco conto, permettendo a Beirut di guardare al futuro con una nuova speranza.
La vicenda, come abbiamo scritto in esergo, ha dato vita ad accese controversie all’interno di Israele, dove una parte ha parlato di cedimento a Hezbollah e l’altra ha accusato i suoi avversari di strumentalizzare la vicenda a fini politici e di non aver a cuore i destini del Paese, dal momento che i nuovi confini preserveranno da altre asperità con Hezbollah e permetteranno lo sfruttamento del gas a beneficio di tutti i cittadini.
Ma forse lo scritto più intelligente sul tema è l’editoriale di Haaretz, del quale riportiamo un passaggio: “Nonostante i rumori di sottofondo provenienti dal Likud, e in particolare dal suo leader, Benjamin Netanyahu, questo accordo dovrebbe essere salutato come positivo, come anche tutti gli sforzi compiuti per la sua approvazione da parte del governo e della Knesset. Al di là degli aspetti economici, l’accordo è un modello di come una soluzione diplomatica, fondata su un compromesso territoriale ed economico, possa prevenire conflitti violenti e creare stabilità e prosperità per entrambe le parti“.
La vittoria della diplomazia
Questo elogio della diplomazia stona con quanto sta avvenendo nel mondo, in particolare nell’ambito del conflitto ucraino al quale, mutatis mutandis, potrebbero essere applicate le considerazioni di questo scritto.
Certo, il contesto è affatto diverso e le controversie oggi più acute e incendiate, e difficilmente i cronisti di Haaretz (che hanno sposato la causa ucraina senza ma e senza se), ne raccomanderebbero l’applicazione nello scenario ucraino.
E però val la pena ricordare che Hezbollah – che di fatto ha il patrocinio dell’accordo per la parte libanese – e Israele sono nemici irriducibili da decenni; che il loro conflitto ha visto scorrere tanto sangue, da una parte e dall’altra (e più nel segreto che nell’arena pubblica); e che, addirittura, Hezbollah è considerata un’organizzazione terrorista da Israele e, a sua volta, quest’ultima non riconosce neanche l’esistenza di Israele come Stato, tanto che è identificato semplicemente come “entità sionista”.
Tale dirompente e aperta conflittualità non ha però impedito la via della diplomazia e del compromesso. Segno che, se davvero si vuole, le intese possono essere raggiunte in qualsiasi situazione. E a qualsiasi latitudine.
Ps. Per quanto riguarda la possibilità che in futuro un vincente Netanyahu stracci quanto fatto dall’attuale governo, il citato editoriale di Haaretz giustamente mette in guardia da tale improvvida iniziativa, che avrebbe come risultato quello di “compromettere la credibilità di Israele come attore internazionale su cui si può fare affidamento per quanto riguarda gli accordi” internazionali.
Ma sul punto c’è da attendere. Sicuramente il nuovo premier, se sarà davvero Netanyahu, vorrà rivedere qualcosa, avendo fatto tale solenne promessa. Ma potrebbe anche accontentarsi di qualche ritocco, in modo tale da poter affermare di aver mantenuto quanto promesso e, allo stesso tempo, evitare nuove criticità con Hezbollah, che Israele non sembra voler sfidare, almeno al momento. Vedremo.