20 Febbraio 2016

Libia: le bombe anglo-americane sul nuovo governo

Libia: le bombe anglo-americane sul nuovo governo
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Gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco in Libia, con un raid aereo che, partito dalla Gran Bretagna, ha colpito una località nei pressi della città costiera di Sabratha. Le bombe hanno ucciso alcuni miliziani dell’Isis qui riuniti. Quaranta i morti. L’attacco è avvenuto il 19 febbraio, il giorno prima che Fayez Serraj giungesse a Tobruk «provenienza Cairo» dove il primo ministro libico scelto dall’Onu è chiamato a far approvare dal parlamento locale, l’unico riconosciuto a livello internazionale, un governo di unità nazionale sponsorizzato dalle Nazioni Unite.

 

Così Francesco Battistini sul Corriere della Sera del 20 febbraio: «Ce la farà? E soprattutto è importante? L’intervento militare è già cominciato, senza altre risoluzioni del Consiglio di sicurezza. E di Serraj sembra importare più che altro all’Onu che ne aveva ottenuto l’incarico a dicembre. O agli europei, che ancora considerano il suo discorso a Tobruk un necessario preliminare alle bombe. Quando il New York Times aveva anticipato tre giorni fa quel che giovedì notte s’è scatenato nei cieli di Sabratha – “gli Usa stanno aprendo un nuovo fronte di guerra in Libia” – l’inviato onusiano Matin Kobler aveva capito: “Attenti a non mettere il carro davanti ai buoi”, l’avvertimento, non è il momento di condurre raid aerei contro lo Stato islamico, rischiano di distruggere gli sforzi per costruire il governo d’alleanza nazionale».

 

Nota a margine. Raid inutile, infatti, ché l’Isis può far benissimo a meno di quaranta effettivi, ma anche illegale, dal momento che l’Onu aveva previsto un’altra strada, ovvero una richiesta formale di aiuto militare del nuovo governo. Così a risultare bombardati da questi raid risultano il governo (?) di Serraj e l’Onu. 

 

Né convince il ragionamento inverso, fatto da alcuni cronisti, secondo i quali il raid sarebbe invece diretto a dare un segnale agli oppositori di Serraj per intimargli di accordarsi in fretta. Un processo di democratizzazione e di stabilizzazione non può essere costruito attraverso le intimidazioni: per costruire la pace serve la speranza non la paura.

 

Colpisce anche che l’ultima tappa effettuata da Serraj prima di giungere a Tobruk sia stato l’Egitto: la potenza regionale più interessata, insieme all’Italia, a una stabilizzazione del Paese. Questa tappa rende l’idea dell’importanza del presidente Al Sisi in questa vicenda. Il fatto che in questo momento l’Egitto sia screditato a livello internazionale a causa dell’omicidio di Giulio Regeni non aiuta (ne abbiamo già scritto in una Postilla). 

 

Infine, val la pena ricordare che quando si usa la forza al di fuori dei tracciati della legalità, come in questo caso, si crea solo destabilizzazione. La Libia ha già conosciuto tale esperienza nel suo recente passato grazie alla guerra portata dalla Nato.

Errare humanum est, perseverare diabolicum. Frase da prendersi nel senso stretto del termine, dal momento che l’estremizzazione del conflitti favorisce solo la capacità di aggregazione delle Agenzie del terrore che, ad oggi, in Libia possono contare solo su 6.000 effettivi (cifre del Dipartimento di Stato Usa). Ben poca cosa rispetto alla capacità di fuoco della Nato…