18 Giugno 2014

L'impero informale americano e le sue colonie

L'impero informale americano e le sue colonie
Tempo di lettura: 2 minuti

New York 2009. Il presidente cinese Hu Jintao e il primo ministro giapponese Yukio Hatoyama

In un’articolo pubblicato sulla Repubblica del 18 giugno, il politologo americano Ian Buruma analizza le accuse di fragilità rivolte al presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Accuse bipartisan, spiega Buruma, in quanto «sia a sinistra che a destra c’è chi crede che agli Usa spetti un ruolo eccezionale: quello di imporre la propria volontà sul resto del mondo. L’unica differenza è che mentre i primi giustificano le proprie opinioni con tesi basate su democrazia e diritti umani, i secondi non hanno bisogno di giustificazioni, dato che dopotutto l’America è il più grande Paese del mondo». Ambedue le posizioni si fondano sull’opinione che «in assenza di una potenza egemonica benevola che vigili sul mondo, tutti vivremmo nel caos e le forze avverse avrebbero il sopravvento».

Per Buruma a tema è il ruolo dell’imperialismo americano: la Pax americana, «sorta di ordine mondiale mai formalizzatosi in impero» sta giungendo a termine e, come accaduto per altri imperi del passato, e «ci si trova di fronte al vecchio paradosso imperiale: più gli altri continueranno a dipendere dagli Usa e meno saranno capaci di prendersi cura dei loro affari – compresa la sicurezza. E malgrado esortino gli alleati a fare la propria parte gli Usa stessi, a mo’ di genitore  autoritario, sono riluttanti a lasciar andare i loro sottoposti». Obama, invece, secondo Buruma, «ha riconosciuto i limiti del potere dell’America nell’imporre con la forza un ordine globale. La sua grandezza di Presidente si basa non tanto su ciò che di buono ha fatto (ed è molto), quanto sulle cose stupide che ha evitato, come prender parte a nuove, inutili guerre. Ciò non risolve il problema imperiale su come sia possibile ridurre la dipendenza da una potenza egemone senza causare tirannia e violenza. Prima o poi andrà fatto. Si tratta di un processo doloroso e pieno di rischi, e l’atteggiamento cauto di Obama è più idoneo a condurlo a buon fine rispetto ai discorsi animosi dei suoi avversari».

(Titolo dell’articolo: Le sfide della pax americana).

 

Nota a margine. L’analisi di Buruma – forse troppo elogiativa del presidente Obama – si concentra sul rapporto tra l’impero americano e i suoi satelliti. Ma fa cenno anche ai rapporti con altre realtà estranee all’impero stesso. È il caso del rapporto tra una di queste “colonie”, il Giappone, e la Cina, ricordando la storia recente giapponese: «Quando nel 2009 in Giappone salì al potere un governo più liberale, che tentò di sottrarsi all’ordine sorto nel dopoguerra inaugurando migliori rapporti con la Cina e riducendo la dipendenza dagli Usa, Washington fece di tutto per minarne gli sforzi. L’impero informale non ammette simili gesti di insubordinazione». Un esempio, seppur pregresso e oggi seppellito dagli eventi, di come il passaggio di testimone, più o meno parziale, dall’impero ai suoi satelliti potrebbe favorire la distensione internazionale. Che comunque non può prescindere dalla ricerca di convergenze globali, al di là dei rapporti tra l’impero americano e le sue colonie.