L'intervista di Karaganov al NYT
Tempo di lettura: 4 minutiNon capita tutti i giorni che un media mainstream americano pubblichi un’intervista a un esponente dell’élite culturale russa. Lo schema dei blocchi contrapposti impedisce spiragli di dialogo, necessari alla comprensione reciproca.
E tale chiusura, dopo la guerra ucraina, è diventata cortina di ferro. Così, quando abbiamo letto l’intervista a Sergey Karaganov sul New York Times di ieri ci siamo stupiti non poco, perché questi è uno degli ideologi più vicini al Cremlino e a intervistarlo è Serge Schmemann, penna autorevole del giornale. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervista, rimandando chi volesse all’integrale.
“Quando è iniziato il conflitto militare, abbiamo visto quanto fosse profondo il coinvolgimento dell’Ucraina con la NATO: molte armi, addestramento. L’Ucraina si stava trasformando in una punta di diamante puntata al cuore della Russia. Abbiamo anche visto che l’Occidente stava crollando in termini economici, morali, politici”.
“Questo declino è stato particolarmente doloroso dopo il suo picco negli anni ’90 [si riferisce al crollo del Muro di Berlino, ndr]. I problemi all’interno dell’Occidente e nel mondo non sono stati risolti. Si trattava di una classica situazione prebellica. La belligeranza contro la Russia è cresciuta rapidamente dalla fine degli anni 2000. Il conflitto era visto come sempre più imminente. Quindi probabilmente Mosca ha deciso di anticipare e di dettare i termini del conflitto”.
“Questo conflitto è di natura esistenziale per la maggior parte delle élite occidentali moderne, che stanno fallendo e stanno perdendo la fiducia delle loro popolazioni. Per distogliere l’attenzione hanno bisogno di un nemico. Ma la maggior parte dei Paesi occidentali, non le loro élite attualmente al potere, sopravvivranno e prospereranno perfettamente anche quando l’imperialismo globalista liberale imposto dalla fine degli anni ’80 svanirà”.
“Questo conflitto non riguarda l’Ucraina. I suoi cittadini sono usati come carne da cannone in una guerra per preservare la supremazia fallimentare delle élite occidentali”.
“Per la Russia questa guerra ha a che vedere con la conservazione non solo delle sue élite, ma dello stesso Paese. Non poteva permettersi di perdere. Ecco perché la Russia è destinata a vincere, si spera, a meno che si acceda a livelli di violenza più elevati. Ma le persone stanno morendo. Prevedo una guerra del genere da un quarto di secolo. E non sono stato in grado di impedirla. Lo vedo come un fallimento personale”.
Sui rischi di un’escalation del conflitto – che in Occidente sono tacitati, per evitare che la paura di tale sviluppo spinga le persone a interpellarsi sulla perché sia preferibile il sostegno incondizionato all’Ucraina rispetto alla ricerca di una trattativa globale con Mosca – Karaganov fa un cenno significativo: “Sono ancor più preoccupato per la crescente probabilità che un conflitto termonucleare globale metta fine alla storia dell’umanità. Stiamo vivendo una prolungata crisi missilistica cubana. E non vedo persone del calibro di Kennedy e del suo entourage dall’altra parte della barricata. Non so se abbiamo interlocutori responsabili. Ma li stiamo cercando”.
Conflitto diventato inevitabile, quello ucraino, rimandato a causa della pandemia, spiega Karaganov, che finirà solo quando Kiev cesserà di rappresentare – o di essere percepita – una minaccia esistenziale per la Russia.
Karaganov aggiunge che Mosca non si vuole isolare, che anzi sta intessendo nuove interlocuzioni in un mondo che sta uscendo dall’unipolarismo Usa per imboccare la strada del multipolarismo; e, quanto alla frattura con l’Occidente, Mosca farà bene a mantenere le distanze per i prossimi dieci o vent’anni, in attesa che la consunzione di cui è preda il nostro emisfero si risolva.
“L’Ucraina – afferma – è una parte importante, ma piccola, del processo di travolgimento del crollo del precedente ordine mondiale dell’imperialismo liberale globale imposto dagli Stati Uniti e del movimento verso un mondo molto più equo e libero di multipolarità e molteplicità di civiltà e culture”.
E conclude spiegando che in questo futuro multipolare avrà un posto sempre più rilevante l’Eurasia, che vedrà il rianimarsi “delle grandi civiltà soppresse da diverse centinaia di anni. La Russia svolgerà il suo ruolo naturale di civiltà delle civiltà. La Russia dovrebbe anche svolgere il ruolo di bilanciatore settentrionale di questo sistema”. Il riferimento specifico è alle civiltà cinese e indiana, devastate dal colonialismo (peraltro, ciò spiega alcune linee della politica estera russa di questi ultimi anni).
Così, dunque, il Nyt, che sorprende con tale pubblicazione. Non è un cedimento al nemico, ma un tentativo di comprendere cosa sta avvenendo nel mondo per tentare di affrontare quella che in questo momento appare terra incognita, con tutti i rischi del caso.
Una pubblicazione che interpella in quanto sussulto di ragionevolezza. Se si vuole uscire dal tunnel nel quale l’Occidente si è cacciato inseguendo le follie neocon che hanno imposto come Unica Via quella del sostegno incondizionato all’Ucraina, occorre prendere atto della complessità del mondo. Le complessità non si risolvono a suon di bombe, come i neocon hanno imposto con la loro funesta guerra infinita.
Anzi, più bombe si sganciano sul pianeta, più esso diventa fragile e caotico. Così in Afghanistan, così in Iraq, Libia e altrove; e così in Ucraina, dove l’invio delle armi NATO serve solo a prolungare una guerra inutile, persa in partenza, e che si poteva evitare se Kiev avesse imboccato la via della neutralità, disinnescando la percezione da parte dei russi di una minaccia imminente.
I padroni del vapore d’Occidente volevano a tutti i costi la loro guerra, l’hanno avuta, anche se non nelle forme desiderate. In attesa di quella asiatica prossima ventura.