9 Ottobre 2024

L'intervista di Lavrov a Newsweek

Mosca non vuole ripetere l'errore del 2014 quando si fidò degli accordi di Misnk. Il "cessate il fuoco" non è più una opzione, serve una soluzione definitiva.
Lavrov intervista a Newsweek
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L’intervista rilasciata dal ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov a Newsweek rappresenta un ulteriore segnale di un cambiamento di approccio alla guerra ucraina da parte degli Stati Uniti, o almeno di una parte della sua leadership. Infatti, era da tempo che un media mainstream statunitense non osava interpellare un esponente della dirigenza russa, nel timore di conseguenze.

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Tale cambiamento è dettato dall’amara constatazione che la guerra non va bene per la Nato. Ormai infranto il sogno di una vittoria strategica sulla Russia, la sua leadership vede, all’opposto, profilarsi all’orizzonte una sconfitta più che strategica, per le tante implicazioni esistenziali che ha dato e ha assunto il conflitto (anzitutto l’affermazione del multipolarismo e tutto ciò che comporta – fine dell’unilateralismo, de-dollarizzazione etc).

La Russia sta affondando come un coltello nel burro nelle linee difensive ucraine, con una velocità ridotta solo dalla necessità di contenere le perdite. Il logoramento dell’esercito ucraino, triturato giorno dopo giorno da due anni, sta dando gli esiti inevitabili, e la leva massiva di soldati inesperti decisa da Kiev non può riparare l’irreparabile, solo tappare in via temporanea falle pronte a riaprirsi; e a incrementare il numero dei morti.

A favorire tale sviluppo, l’ennesima trovata criminale di Zelensky – decisa contro il parere dei suoi generali al modo del suicidio di Bakhmut a inizio guerra – il quale ha voluto invadere (?) la Russia inviando nelle regione di Kursk i soldati più esperti e le attrezzature migliori, depauperando ancor più la difese del fronte.

Così i curatori esteri di Kiev vedono profilarsi lo spettro al quale nessuno di essi aveva mai osato neanche pensare, nonostante fosse destino manifesto date le forze in campo: il collasso del fronte, cioè la sconfitta più che strategica accennata. Lo ha detto a chiare lettere l’ex consigliere di Zelensky Alexey Arestovich in una recente intervista, avvertendo che il crollo avverrà tra 3 – 4 mesi.

Al di là della tempistica più o meno indovinata (non abbiamo elementi per precisare), tale è ormai l’imbuto verso il quale sta precipitando in via irreversibile il conflitto. Lo sanno bene i curatori di Kiev, da cui la necessità di cambiare i piani per evitare la catastrofe.

Ma a fronte di menti lucide che hanno compreso la necessità di un Endgame, dal momento che la guerra ha comunque procurato dividendi agli Stati Uniti (sudditanza più stretta della Ue, rescissione dei legami tra questa e la Russia etc) altri sperano in altro, anzitutto di addivenire a una pausa del conflitto per poterlo riprendere dopo la ricostituzione delle forze ucraine o magari quando la Ue o un gruppo di nazioni volenterose saranno pronte a entrare in campo.

L’opzione coreana è finita in soffitta

Così è interessante, nell’intervista di Lavrov, che egli abbia escluso un “cessate il fuoco”, cioè una chiusura del conflitto in stile coreano, con una tregua provvisoriamente duratura, sul quale pure in tempi pregressi i russi avevano in qualche modo indugiato.

All’opposto, Lavrov ha detto chiaramente che Mosca vuole un’intesa che risolva le cause del conflitto. Il punto è che la Russia non si fida, né l’Occidente gli ha offerto occasioni in tal senso, anzi. Teme il ripetersi di quanto avvenuto nel 2014, quando il Donbass, sostenuto da Mosca, ebbe la meglio sull’esercito ucraino, sostenuto dalla Nato.

Sbaragliate le forze avverse, Mosca avrebbe potuto aiutare le forze del Donbass a prendere il controllo dell’Ucraina, anche intervenendo direttamente a supporto, cosa che sarebbe stata facilissima anche perché non si era ancora creata quella polarizzazione anti-russa indotta negli anni che oggi renderebbe ingestibile il controllo delle regioni altre dal Donbass.

Putin decise, invece, di accogliere e sostenere le proposte di Francia e Germania per un’intesa intra-ucraina. E furono gli accordi di Minsk, sui quali sia Macron che la Merkel, ebbero poi a dire che furono un inganno, un modo per prendere tempo e dar così modo a Kiev di ricostituire l’esercito, anzi di farlo ancora più forte, così da potersi confrontare con i “ribelli” del Donbass e con la stessa Russia.

Dato il precedente, e le candide confessioni postume dei due leader europei, è difficile ritenere infondata la diffidenza dei russi su un accordo che non sia ad ampio spettro e decisivo.

Ucraina: dal sabotaggio degli accordi di Minsk alla guerra

La querelle sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato

Resta poi il nodo dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato, altra pietra di inciampo per la risoluzione della crisi. La proposta della leadership occidentale si è condensata sul modello tedesco, cioè la divisione dell’Ucraina in due parti, con il Donbass che resta alla Russia – cessione sulla quale ormai sembra rassegnata anche la leadership ucraina – e l’Est che resta in orbita occidentale sotto l’ombrello Nato.

Punto cruciale quello della Nato, dal momento che proprio la richiesta di adesione alla Nato di Kiev e le porte aperte a tale richiesta da parte dello sciagurato Blinken hanno innescato il conflitto. Nell’intervista a Nesweek Lavrov ha ribadito il niet di Mosca a tale possibilità.

Potrebbe essere una chiusura insuperabile, ma appare fondamentale l’aggiunta di Lavrov: “Gli Accordi di Istanbul siglati il ​​29 marzo 2022 dalle delegazioni russa e ucraina [non ratificati a causa dell’intervento anglosassone ndr.] potrebbero fungere da base per l’accordo. Prevedono il rifiuto di Kiev di entrare nella NATO e contengono garanzie di sicurezza per l’Ucraina“.

Detto questo, è ovvio che all’avvio di ogni trattativa le parti si prodighino a chiedere il massimo. Ma questa, di trattativa, ha un punto focale, le elezioni americane. Se vince Trump si chiude. Se vince la Harris, invece, le cose saranno più complicate. Ma, in una recente intervista al programma 60 minutes, sebbene abbia ribadito le usuali parole d’ordine, la Harris ha accuratamente evitato di rispondere a una domanda sull’ingresso dell’Ucraina della Nato. Segnale positivo, per quel che vale, per quanto riguarda la trattativa.

Harris dodges question on Ukraine's NATO membership

A margine, le rivelazioni di Bob Woodward, il quale in un libro ha riferito che, in privato, Biden avrebbe esclamato furibondo: “Hanno fatto una cazzata nel 2014. Barack [Obama] non ha mai preso sul serio Putin“, permettendogli di entrare nelle vicende del Paese e che Washington “non ha fatto niente”. Dove la vera rivelazione sta nella prima parte, pechè in realtà allora la Russia fu estromessa dal Paese e non è vero che Washington non ha fatto nulla: ha fatto, eccome. Eccome. Rivelazione che fa il paio con l’altra, del dicembre del 2023, quando, interpellato se volesse che l’Ucraina vincesse la guerra contro la Russia, Biden ha risposto con una risata…

Biden ha detto che 10 anni fa Obama “ha fatto un casino” con l’Ucraina