L'ipotesi di un incontro Biden - Putin: la variabile Griner
Tempo di lettura: 4 minutiPutin e Biden potrebbero tenere un colloquio al G20 di novembre in Indonesia. Una possibilità reale, che deve aver mandato in fibrillazione il partito della guerra, il quale, tra le altre cose, controlla anche il flusso delle notizie principali, il cosiddetto mainstream, con conseguente marginalizzazione e manipolazione delle notizie riguardanti tale nuova possibilità.
La risposta di Biden
Biden, secondo i principali media, avrebbe rigettato l’apertura di Putin: ha frenato, non concede nulla sulle possibilità di aprire una trattativa sull’Ucraina, ripetono. Ma la realtà è altra. Infatti Biden ha detto che “dipende da cosa vuole discutere”, se sull’Ucraina, la porta è sbarrata, se invece vuol parlare della liberazione della Griner, si può vedere.
Mentre i missili cadono su Kiev e con i margini di manovra sempre più ridotti dalla stretta dei falchi del Dipartimento di Stato (in quota Clinton) e dai tanti avvoltoi che stanno banchettando su questa guerra, Biden non poteva certo esprimere entusiasmo per l’apertura, né dichiarare improvvidamente che è pronto a trattare sull’Ucraina, le cui autorità peraltro potevano esprimere disappunto per l’esclusione dal negoziato (così Biden, giustamente, ha detto che la pace i russi la devono fare con Kiev: non è vero, si fa con Washington, ma è necessario dire il contrario).
Per aprire all’ipotesi di un incontro, Biden ha così usato l’unica arma a sua disposizione, la variabile Brittney Griner, cittadina americana da tempo reclusa in Russia per possesso di droga e da mesi al centro di un’intensa attività diplomatica per riportarla in patria.
Il punto è che, se i due presidenti si incontrano, risulterebbe un’ovvia apertura diplomatica degli Stati Uniti, in netto contrasto con l’attuale insistenza monomaniacale sulle armi a Kiev e con la spinta a isolare lo zar. E potrebbe essere un’occasione propizia per aprire un canale di dialogo segreto tra i due presidenti sulla crisi ucraina.
Certe cose si fanno nel segreto, come insegna la storia della crisi dei missili cubani, risolta nell’ombra in un dialogo tra Kennedy e Krusciov, trattativa che negli ultimi giorni è stata al centro di intenso dibattito. D’altronde che ci fosse una disponibilità degli Stati Uniti a un tale incontro lo dice anche la cronologia.
Il primo ad accennare alla possibilità di un dialogo tra i due presidenti al G20 è stato Sergej Lavrov, con ripresa successiva dallo stesso Putin. Il presidente russo non avrebbe avanzato tale proposta pubblicamente, se non avesse avuto un qualche segnale di apertura dalla controparte: tutto sarebbe finito con l’intervista del ministro degli Esteri russo, che sarebbe stata archiviata come fuggevole boutade.
Lo zar, cioè, non si sarebbe esposto pubblicamente solo per ricevere un niet secco e irridente della controparte. Così se ha parlato di tale possibilità, è perché l’apertura di Lavrov, che evidentemente serviva a lanciare un sasso nello stagno, aveva avuto un qualche riscontro.
Peraltro si può registrare come anche l’apertura di Lavrov sia stata preceduta da un timido segnale giunto dagli Stati Uniti, con l’amministrazione Biden che ha fatto trapelare un soliloquio del presidente, svolto in sede privata, nel quale si interpellava su come trovare una via di uscita per Putin (vedi Piccolenote).
Pubblicamente l’incontro al G20 apparirebbe e potrà essere rivenduto come un banale dialogo sulla sorte della Griner, che verrebbe liberata nei giorni successivi, consentendo a Biden di evitare le critiche dei falchi e, anzi, di incassare i dividendi di un chiaro successo diplomatico.
Ma, nel segreto, potrebbe riguardare qualcosa di ben più importante del solo destino della cittadina americana. Al di là delle possibilità riguardanti il conflitto, che non osiamo nemmeno esprimere, di certo il dialogo tra i due aiuterà a raffreddare i bollori derivanti dal clima da Armageddon che si respira, incrementato dalla decisione della NATO di svolgere un’esercitazione del suo apparato nucleare.
Se si tiene presente che la dottrina nucleare Usa, cioè della NATO, comprende il First Strike, si può immaginare con quanta attenzione, e tensione, tale esercitazione sarà monitorata dai russi…
A favore di un possibile incontro tra i presidenti delle due superpotenze gioca anche la cronologia. Il G20 si terrà dopo le elezioni di midterm Usa, così da evitare il disturbo derivante dalle incognite sulle ricadute elettorali dello stesso.
Le vittime dei raid russi
Per quanto riguarda gli sviluppi del teatro di guerra, ci limitiamo a riferire quanto scrive il New York Times: “Gli attacchi missilistici e droni russi, che lunedì hanno ucciso almeno 19 persone in tutta l’Ucraina, sono stati traumatici e di ampia portata, ma non sono stati mortali come avrebbero potuto”.
Secondo lo spiegone del Nyt ciò sarebbe dovuto al fatto che il potenziale delle armi russe sarebbe molto in ribasso, evidenziando le scarse capacità della macchina bellica russa, l’esaurimento del suo arsenale e le ancor più scarse prospettive di vittoria.
D’altronde è dall’inizio della guerra che i media occidentali continuano a ripetere, con stolida insistenza, che i russi hanno esaurito i missili… (non si comprende da dove hanno tirato fuori quelli che stanno piovendo su tutta l’Ucraina).
Ed è allucinante affermare che le (relativamente) poche vittime siano dovute a tale fattore. Il fatto che abbiano usato missili di precisione che sono andati a bersaglio è dimostrato dai blackout che hanno registrato tutti i media. Non solo: se i russi avessero sparato missili poco manovrieri, sarebbero caduti a pioggia, provocando molti più morti.
Non si tratta di magnificare le sorti progressive della macchina bellica russa, solo di riportare che anche il Nyt ha registrato che le vittime dei raid sono state relativamente poche (anche se a ognuna di esse va data la giusta e dolorosa importanza). Nel riferirne abbiamo registrato che ciò è indice che la Russia sta frenando la propria azione: non vuole stragi, anche se inevitabili, ma disarmare l’avversario. Tale modo di procedere, peraltro, scrivevamo, denota che c’è ancora spazio per il dialogo.
E ancora: riportando lo spiegone del Nyt, si voleva evidenziare il meccanismo usato della propaganda. Se Putin è debole, allora la vittoria di Kiev è a portata di mano e la strategia adottata, di inondare di armi l’Ucraina, è corretta e va proseguita (con lucro crescente dei mercanti di armi e dei necrofori delle guerre infinite).
Se invece la macchina bellica russa è talmente forte che l’Ucraina non ha speranze di recuperare tutto il territorio perduto, non resta che trattare, evitando al popolo ucraino e al mondo ulteriori tormenti. E tale prospettiva non può essere detta.
In fondo si tratta di un meccanismo più che banale, peraltro usato anche per la guerra del Vietnam, durante la quale i media hanno dato per anni gli americani trionfanti su tutti i fronti, fino ai giorni epifanici della sconfitta finale.