L'islam, la politica e le guerre dell'Occidente
Tempo di lettura: 2 minutiIn una lettera pubblicata sul Corriere della Sera del 3 febbraio, Sergio Romano riflette sul rapporto tra religione islamica e politica. Accenna così come nel dopoguerra si registrasse un processo di secolarizzazione della società araba in varie nazioni, dalla Siria all’Iraq, guidate dal Baat (un partito socialista a sfondo nazionalista), all’Egitto di Nasser, alla Turchia di Ataturk. Poi l’involuzione.
«Il problema non è l’immutabilità del Corano – spiega Romano – un testo che come come tutti i libri sacri ha letture diverse. Il problema è comprendere perché un islamismo bigotto sia riuscito a interrompere il processo di secolarizzazione delle società medio-orientali. Scopriremo allora che le guerre dell’Occidente hanno considerevolmente peggiorato la situazione e che i migranti non sono le pattuglie avanzate di un esercito invasore. Sono le vittime di una modernizzazione tragicamente abortita
».
Nota a margine. Lettura interessante, alla quale va forse aggiunto il corollario iraniano, laddove una rivoluzione laica contro l’oscurantismo dello scià fu sequestrata dall’islamismo khomeinista. Ma anche in questo caso, la guerra scatenata contro Teheran da Saddam per conto dell’America (e non solo) ha cristallizzato per decenni la teocrazia islamica nelle sue posizioni.
Oggi che l’Iran, con la presidenza Rouhani e l’accordo sul nucleare, sta faticosamente ritrovando una nuova via alla libertà secondo modalità diverse dall’Occidente (né può essere quello occidentale l’unico metro di misura della libertà altrui), occorre favorirne lo sviluppo, anche perché potrebbe innescare dinamismi virtuosi anche in altri Paesi, dove l’islamismo wahabita, alleato dell’Occidente, sta portando oscurità.
Anche per questo sarà importante l’esito delle elezioni americane: diversi candidati hanno già promesso di voler stracciare l’accordo sul nucleare al primo giorno di presidenza. Ma è solo un esempio, ché tale accordo potrebbe essere rimesso in discussione anche da candidati che oggi si dicono favorevoli.
La fine di quell’accordo metterebbe in seria difficoltà Rouhani e la sua stagione di riforme. Un disastro per il mondo intero.