L'Onu e le colonie israeliane
Tempo di lettura: 2 minuti«”Le colonie israeliane non hanno validità legale”. Con la storica astensione degli Stati Uniti il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione che condanna gli insediamenti ebraici in Cisgiordania e a Gerusalemme Est
». Così Alberto Flores D’Arcais, sulla Repubblica del 24 dicembre, in un articolo che riporta anche l’indignazione di Israele non solo contro la risoluzione, ma anche contro l’amministrazione Obama, ritenuta responsabile della decisione dell’Onu.
«Per l’ambasciatrice americana all’Onu Samantha Power – continua Flores D’Arcais – gli Usa non avevano scelta: “Non possiamo sostenere la risoluzione dei due Stati e gli insediamenti allo stesso tempo
“».
Nota a margine. Nell’articolo, il cronista accenna anche alla controversia che la questione ha suscitato negli Stati Uniti, dove la linea di Obama, che ha spinto per tale risoluzione, è stata osteggiata in maniera decisa da Trump, favorevole invece a un approccio più condiscendente verso il governo israeliano.
Non è una controversia che interessa solo i due presidenti Usa. Tanto che Giuseppe Sarcina, in un articolo scritto per il Corriere della Sera lo stesso giorno, accenna che la questione del dialogo israelo-palestinese «ha spaccato la comunità ebraica americana», dove la «parte più conservatrice appoggia senza riserve la linea del premier israeliano Benjamin Netanyahu», il quale «ritiene non ci siano le condizioni per trattare con l’Autorità palestinese».
Tale ambito dell’ebraismo americano appoggerebbe Donald Trump, mentre «lo schieramento più favorevole a un dialogo con i palestinesi» invece, secondo il cronista, avrebbe appoggiato la Clinton.
C’è del vero in questa analisi di Sarcina, anche se le cose mediorientali sono sempre più complesse di quel che appaiono. Tante le variabili in gioco.
Una riguarda le varie prospettive della variegata destra israeliana, che non è rappresentata solo da Benjiamin Netanyahu. E se certo c’è un estremismo, sul quale il pragmatico premier si è finora appoggiato, che rifiuta ogni dialogo con i palestinesi, esiste anche una destra altra e diversa, quella ad esempio rappresentata dal presidente Reuven Rivlin, il quale è favorevole alla creazione di uno Stato binazionale arabo-israeliano (ipotesi sulla quale sta riflettendo seriamente anche l’ambito ebraico progressista – rimandiamo, ad esempio, a un’intervista di Abraham Yehoshua).
Né si può obliare il contesto internazionale: la storia insegna che i negoziati tra israeliani e palestinesi non hanno alcuna possibilità di riuscita senza una spinta internazionale.
In altri termini la ricerca di convergenze in “medio terrae” abbisogna di convergenze globali, quindi che si ponga fine all’aspro confitto tra Oriente e Occidente che oggi affatica il mondo.
Una prospettiva incarnata da Trump e avversata invece dalla Clinton, che tale conflitto ha alimentato in vari modi.
Insomma, tante e diverse le variabili in gioco nel complesso rebus israelo-palestinese. Quel che è certo è che la risoluzione sulle colonie votata ieri all’Onu, al di là se sia poi rispettata o meno da Tel Aviv (cosa ad oggi da escludere), ha un valore storico. Alla lunga può facilitare un negoziato serio, se e quando avrà inizio.