L'Ucraina dopo Yatsenyuk
Tempo di lettura: 2 minuti«Volodimir Groisman è il nuovo premier ucraino: a favore dell’alleato del presidente Petro Poroshenko hanno votato 257 deputati su 450 […] il parlamento ucraino ha contestualmente approvato le dimissioni del Governo di Arseny Yatsenyuk […] La Rada ha inoltre eletto Andrii Parubii come suo nuovo presidente al posto di Groisman. Parubii è membro del Fronte popolare, che così, dopo le dimissioni da premier del suo leader Yatsenyuk, ottiene un’altra carica, per quanto meno prestigiosa. Il nuovo presidente è stato anche ex comandante delle unità di autodifesa di Maidan
». Così sull’Osservatore romano del 15 aprile.
Nota a margine. Esce mestamente di scena Yats, come lo chiamava confidenzialmente il vice-segretario di Stato americano, e esponente di punta dei neocon, Vittoria Nuland. L’uomo che doveva assicurare a Kiev un futuro prospero, progressivo e occidentale.
In realtà l’Ucraina è a pezzi, praticamente in default, e questa partita di giro, iniziata con le dimissioni di Yatsenyuk, ha visto prevalere il cioccolataio Poroshenko, il cui slancio verso un destino europeo è frenato da ragioni di prudenza politica, tanto da guadagnarsi l’odio di quegli ambiti, ucraini e non, che spingono per rinnovare lo scontro frontale con la Russia.
Proprio questa frizione interna deve aver convinto Poroshenko ad assegnare a Parubii, che di quell’ambito è figura non secondaria, la carica di presidente della Rada. Un tentativo di compromesso con un mondo abitato dal rifiuto di ogni compromesso e che spera in una rivincita contro Mosca, da ricercare stavolta con un più adeguato supporto Nato (che ha rafforzato notevolmente la sua macchina bellica nell’Europa dell’Est).
Il problema dell’Ucraina in fondo è tutto chiuso in questa insanabile contraddizione, prodotta da una distorta visione che di essa ha tanto mondo occidentale. Che la immagina – e spinge in tal senso – solo come un avamposto avanzato quanto strategico per contrastare la Russia.
Alla Nuland, e al suo fido Yats come a tanti politici ucraini legati a certo mondo occidentale, non interessa affatto il destino europeo di Kiev né la sua prosperità. Famoso il “fuck the Europe” esclamato del vicesegretario di Stato Usa in una conversazione telefonica resa pubblica.
Da questo punto di vista uno Stato fallito, l’ennesimo Stato fallito che lascia dietro di sé la dottrina neocon (dopo Afghanistan, Iraq, Libia e Siria), può anzi essere utile allo scopo, perché alimenta l’estremismo, rafforzando la spinta per uno scontro senza quartiere col potente vicino russo.
La politica ucraina si muove in queste ristrettezze, in attesa, e forse nella speranza (almeno da parte di alcuni ambiti), di quella distensione tra Usa e Russia che ad oggi costituisce l’unica chanche per far uscire il Paese da un tunnel senza uscita.